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Il regno d'inverno - Winter Sleep

Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film

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La recensione su Il regno d'inverno - Winter Sleep

di laulilla
9 stelle

Palma d'oro al Festival di Cannes 2014. Con questo bellissimo film Nuri Bilge Ceylan torna nella sua Anatolia, per parlarci della Cappadocia, mondo mitico e misterioso fra Oriente e Occidente; fra due culture, non sempre conciliabili.

 

Scenario di insolita bellezza e di grande fascino,  la Cappadocia del film è anche la regione simbolica del difficile rapporto fra uomo e natura:  le case scavate nella pietra dai tempi più remoti, nei mesi estivi paradiso dei turisti, sono in inverno luoghi freddi e inospitali, che le abbondanti e continue nevicate isolano dal resto del mondo, tanto che lungo le strade, sempre meno percorribili, rari stranieri vi si avventurano: qualche giapponese o qualche temerario in vena di sfidare il gelo e le insidie della natura.

 

Era nato lì e non se ne era mai allontanato del tutto il protagonista di questo film, l’ enigmatico attore teatrale in pensione Aydin (Haluk Bilginer): nonostante la sua cultura in apparenza occidentale e razionalistica, era tornato, a un certo punto della vita, alla sua terra gelida, senza abbandonare, tuttavia, l’amore per il teatro che in gioventù lo aveva spinto a Instanbul, la grande metropoli, la più europea delle città anatoliche.

Grazie al computer, a Internet e a tutti gli straordinari mezzi della comunicazione globale, ormai arrivati anche in Cappadocia, egli continuava a tenere i contatti col mondo della cultura, indispensabili per completare la stesura dell’opera, da tempo iniziata, sulla storia del teatro turco, coronamento e sintesi della grande passione di tutta la sua vita.

Aydin, infatti, si era ritirato in una bella casa di pietra, l’aveva trasformata in un albergo (che aveva chiamato… Othello: un po’ Shakespeare e un po’ hotel) accogliente e confortevole per i turisti più sofisticati, ma non se ne occupava direttamente: la gestione era nelle mani del fedele Hidayet (Ayberk Pekcan). 

Talvolta vi si facevano vedere le due donne della sua famiglia, entrambe intelligenti ed evolute: la giovane Nihal (Melisa Sozen), la bella moglie, che, pur dipendendo da lui, era faticosamente riuscita a ritagliarsi spazi di libertà personale, conquistando per sé anche un’ala della casa, e Necla (Demet Akbag), la sorella, tornata anche lei da Instanbul, dopo il divorzio.

Aydin era molto ricco ed era diventato padrone di molte altre case della zona, che concedeva in affitto a famiglie povere, alcune delle quali stentavano a tirare avanti e perciò non sempre riuscivano a pagarlo.

Così era accaduto che nella casa di due fratelli, l’imam Hamdi (Serhat Mustafa Kiliçe il fratello Ismail (Nejat Isler), Hidayet, senza pensarci troppo, avesse fatto pignorare qualche elettrodomestico. 

Nel tempo più tranquillo dell’anno e nel luogo apparentemente più immobile e letargico, perciò, ora emergevano le tensioni violente, che, represse a lungo nel cuore dei personaggi, si rivelavano in tutta la loro forza esplosiva.

 

La sassata del piccolo Elias, il figlio di Hamdi, all’inizio del film, fulmineamente ci aveva portati nel cuore dell'ingiustizia e del dolore, ma presto altri problemi si aggiungeranno: dalla  rabbia impotente di Nihal, alla misteriosa uscita di scena di Necla, fino al falò del denaro alla fine del film: un crescendo di ribellioni accompagnate da inenarrabili e vane discussioni fra tutti i personaggi, gioco al massacro attraverso il quale ciascuno, anziché confrontare con gli altri i propri brandelli di verità, sembra recitare la parte che si è assegnato, senza alcuna sincera volontà di comporre i dissidi.

 

 

 

 

Per tutta la durata del film, pertanto, i personaggi mantengono l’indecifrabilità che li aveva connotati fin dall’inizio, ma è soprattutto Aydin il più sfuggente, colui che si presenta di volta in volta diverso, come si conviene a un attore della sua consumata esperienza, capace di ribaltare continuamente l’immagine di sé, grazie alle sue abilità verbali e dialettiche, accompagnate da grande forza espressiva, ma grazie soprattutto al potere di persuasione - mai esibito, ma implicito - della sua ricchezza, ciò che ne fa davvero il dominatore degli uomini e delle donne dell’intera comunità, nonché del piccolo Elias e di tutte le creature innocenti, come gli animali che per causa sua soffrono senza reagire e che rappresentano sul piano simbolico il dolore che accomuna tutti coloro che dipendono, in qualche misura, da lui.

Chi è dunque davvero Aydin? Che cosa significano la sua affabilità di facciata, i bei modi, la raffinatezza della sua cultura?

Il film non dà risposte: a noi tocca interpretare gli indizi che arrivano dalle immagini e dagli sviluppi delle vicende e riflettere sul ruolo non solo sociale e politico, ma filosofico del personaggio a cui dà vita.

 

 

Il film, davvero molto bello, è da vedere non solo per il fascino metaforico del sorprendente e mutevole paesaggio della Cappadocia, ma soprattutto per gli inquietanti interrogativi che solleva, per la finezza dell’analisi dei personaggi e dei loro comportamenti che il regista porta avanti con molta lentezza (né potrebbe essere diversamente), ma continuando a coinvolgerci, anche grazie all’eccelsa interpretazione di tutti gli attori. Una bella avventura per la mente e il cuore di chi guarda: non mi sembra poco! 

 

 

 

 

 

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