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Il regno d'inverno - Winter Sleep

Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film

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La recensione su Il regno d'inverno - Winter Sleep

di EightAndHalf
8 stelle

In un angolo di mondo della profonda Anatolia, dove le case sono costruite dentro la pietra e la natura alterna paesaggi spogli a ipnotici fenomeni geotermici, regna l'inverno, nel clima e fra gli uomini. Winter Sleep è un film di personaggi e di esseri umani, di entrambe le cose fuse assieme e accoppiate di volta in volta, un disorientante puzzle di caratteri implosi in un microcosmo raggelante in cui la noia lentamente si inerpica negli animi e l'aridità devasta le coscienze. Cosa sono le coscienze, poi, se non quelle cose create dagli uomini deboli per tenere a bada quelli più forti, o magari quelle cose che permettono di pensare e distrarsi, piuttosto che guardare alla selvaggia realtà lì fuori?

 

Haluk Bilginer

Il regno d'inverno - Winter Sleep (2014): Haluk Bilginer

 

Ayden, proprietario di moltissime case e terreni e testardo scrittore di articoli pubblicati in una rivista locale e che probabilmente in pochi leggono, gestisce un ostello dove accogliere turisti da tutto il mondo, accorsi a visionare un pezzo di mondo misterioso e suggestivo, insieme alla sorella Necla e alla moglie Nihal. Risulterebbe un idillio, questa armoniosa protezione dal resto del mondo, in cui dopotutto la tecnologia d'avanguardia dei tablet e dei computer arriva con incredibile facilità e il presente si fa comunque intravedere a risciacquare i ricordi passati di una terra isolata; ma i legami familiari assomigliano sempre di più a sovrastrutture fini a se stesse richiedenti una convivenza forzata, e i rapporti fra Ayden, la sorella e la moglie sono sempre più tesi e litigiosi, tanto da scatenere più volte discussioni animatissime in cui la verità delle opinioni che ognuno di loro ha dell'altro sbuca fuori come un coltello affilato a strappare via un pezzo di ipocrisia. Discorsi sulla morale, sul Male, sul significato dello scrivere e della vita, rinfrescano le giornate e soprattutto le serate dei tre protagonisti, contemplati con straordinaria levità da un Ceylan che si concede una lunghissima sceneggiatura - si direbbe di impianto quasi teatrale - e cerca di far convivere la riproduzione anche formale della fredda incomunicabilità regnante fra i personaggi e quel senso di frustrata eleganza che va ad enfatizzare la definitiva solitudine umana. Il leggero schematismo con cui il regista turco gestisce certe dinamiche - la sorella che confessa la sua "noia", la moglie insoddisfatta, la futilità dei rapporti di sangue, l'arroganza intellettuale, il turista che vive giorno per giorno, l'alternanza un po' programmatica di sequenze dialogate e sequenze contemplative e il progredire esponenziale dell'inverno ad accompagnare il climax ascendente di "attrito relazionale" - si perdonano di fronte a una regia severa e consapevole, in grado di osservare i suoi personaggi come pezzi di una costruzione e di sbagliare sempre i pezzi, ribaltando i punti di vista, facendo fioccare le contraddizioni e compiacendosi di brillanti botta e risposta in cui si fanno palpabili nuove consapevolezze. Tanto che si cominciano a provare gli stessi dubbi dei protagonisti, e non si capisce dove la verbosità possa andare a parare, in mezzo a uomini come loro che dopotutto vivono ancora "nelle caverne". 

 

Haluk Bilginer

Il regno d'inverno - Winter Sleep (2014): Haluk Bilginer

 

La realtà è che tutto sembra condurre a niente, "la vita è quella cosa che viene mentre fai dei progetti", e la vita di questa girandola di personaggi sembra a poco a poco spogliarsi di qualsiasi scorza e rivelarsi in tutta la propria quieta dannazione. Il rapporto fra questi esseri umani degenera sempre di più, nelle tre lunghe ore di Winter Sleep, e le parole di ognuno permettono questa riorganizzazione e rigerarchizzazione dei valori, spesso ostentati e mai realmente vissuti da nessuno e in particolare da Ayden, carattere odioso quanto affascinante, sempre pronto a difendere i più poveri ma anche diffidente nei confronti degli stessi, attento a criticare il conservatorismo delle vecchie generazioni ma acido nei confronti delle nuove che dimenticano le tradizioni: un vero e proprio misantropo (così lo inquadra pure la moglie Nihal), un po' un topos del teatro occidentale, presentato da Ceylan come futile pluristratificato tessuto di paradossi e ambiguità. Lo spettatore non ha dove aggrapparsi, in Winter Sleep, gli spazi vuoti sono quelli riempiti dalla sua mente viaggiante, coinvolta nei tesissimi confronti e capace di rivedersi in prima persona, di fronte a screzi umani quotidiani e per nulla sensazionalisti.

 

Haluk Bilginer

Il regno d'inverno - Winter Sleep (2014): Haluk Bilginer

 

Il film non è privo di qualche caduta, e sottilissime ingenuità emergono di tanto in tanto a frenare l'entusiasmo di uno spettatore avvinghiato alla maestria visiva del regista turco (vedasi anche la splendida fotografia, e la gestione dei colori, fra interni ed esterni). D'altro canto, di fronte ad alcune sequenze, non si può far altro che respirare a pieni polmoni quell'eleganza formale e quei brividi di inquietudine che la solennità dell'inquadratura genera, e che sovvengono in momenti quali l'incontro con il cavallo nella stalla, la visita di Nihal alla casa degli affittuari (i "poveri" incompresi da Ayden, che pure ne parla tanto bene e pietosamente nei suoi scritti), l'uccisione del coniglio e l'ultimissima immagine quasi azzerata nel bianco della nevicata. Per non parlare di quando Ceylan avvicina sornione la mdp ai volti, agli sguardi (colti a volte in primissimi piani), e riesce a ricostruirne la frustrazione, il tedio, la raggelante inutilità, fino a rivelarsi capace di non consolare per niente e di farci partecipi di una nuova illusione di Ayden, un valore "artificiale" e accomodante su cui basare la sua vita futura. Ceylan è fuori e dentro al contempo: a queste illusioni lui non può proprio credere.

 

Melisa Sözen, Ayberk Pekcan

Il regno d'inverno - Winter Sleep (2014): Melisa Sözen, Ayberk Pekcan

 

Un film imprevedibile e vertiginoso, molto complesso e ricco di curve, dalla durata necessariamente estesa, abile e coraggioso nel concentrarsi sui personaggi ancor prima che sulle tematiche, raffinato nei movimenti di regia senza sfiorare minimamente il manierismo. Una visione illuminante, che pone violentemente di fronte allo spettatore i dilemmi - nudi e crudi - dei casi umani. L'ultima fatica dell' "Antonioni turco" (che fastidio questi appellativi dati da chi deve chiamare col "già conosciuto" qualcosa di nuovo e non schematizzabile), giustamente premiata con la Palma d'Oro a Cannes.

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