Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film
Il film che non t’aspetti (anche se il buon Spaggy via messaggio mi aveva anticipato qualcosa …) da parte di Nuri Bilge Ceylan che cambia quasi radicalmente modus operandi rispetto ai suoi già apprezzatissimi lavori precedenti (spesso premiati e spesso proprio a Cannes) e riesce incredibilmente ad alzare ancora una volta l’asticella, questo al netto della Palma d’oro conquistata e del fatto che sicuramente non vedrà tutti schierarsi nettamente dalla stessa parte (opinione che scaturisce dai commenti sentiti all’uscita dalla sala da 400 posti esaurita).
Aydin (Haluk Bilginer) vive con la bella moglie Nihal (Melisa Sozen) e la sorella Necla (Demet Akbag) in un piccolo villaggio dell’Anatolia dove gestisce da anni un albergo e le case che gli ha lasciato in eredità il padre.
Con l’arrivo dell’inverno si manifestano delle discordanze sia con la sorella che con sua moglie tanto da fargli pensare di andarsene a Istanbul per qualche tempo, mentre nel cassetto ha il sogno di scrivere.
Difficile dopo tre ore abbondanti di visione uscire dalla sala con addosso così tanti pensieri e la sensazione che si sarebbe voluto guardare ancora oltre nelle dinamiche proposte che partono (relativamente) piano, ma che poi si sviluppano in crescendo con soprattutto un paio di dialoghi a due (prima tra Aydin e Necla e poi tra l’uomo e Nihal) nel chiuso di una stanza che sfidano (con successo) le regole della lunghezza.
Così per una volta nel cinema del regista turco la parola prende il sopravvento sulle atmosfere e la forma, pur rimanendo queste di sicuro affidamento, sia per l’ambientazione geografica (già solo le case ricavate nella roccia sono di una bellezza disarmante ed il territorio in generale non è da meno, quasi uno spot turistico, ma artistico e non strenuamente gratuito) sia per scorci generali e di particolari (come un albero spoglio “abitato” da volatili) in grado di levare il fiato.
E le parole servono per scandagliare i rapporti tra uomo e donna per lo più fragili che solo nel silenzio e nell’accondiscimento trovano una relativa pace che invece viene presto travolta quando avviene un’azione inattesa, come quella di Nihal di invitare a casa tante persone per cercare dei fondi all’insaputa del marito.
Dietro un rapporto c’è spesso qualcosa di nascosto che lascia spiazzati se si manifesta apertamente, Aydin dimostra che una brava persona (in fondo è onesto, possiede buone maniere, è affabile, al più si può dire che non ama ciò che esce dall’ordinario e quindi i problemi) non è per forza completamente buona, mentre Nihal ha bisogno, maturando, dei suoi spazi, ma certamente non trova il modo migliore per esprimersi così che quello che all’inizio sembra un rapporto perfetto si deteriora mostrando quanto possa essere fallace l’essere umano.
In mezzo tante piccole grandi scene, tra citazioni shakesperiane, azioni metaforiche (come la liberazione del cavallo appena domato), forse non sempre congrue o necessarie, e la non secondaria figura degli affittuari in debito (che nella figura del fratello più rude mostra quanto possa spingersi oltre l’orgoglio dell’uomo) per quanto non tutto arrivi ad un dunque finito.
Ma anche questo fa pensare che si tratti di un film che ha bisogno di essere visto e rivissuto per forse essere assorbito meglio o magari ridimensionato, senza dubbio interpretato (ad un certo punto sentiamo delle parole che non sappiamo se sono state solo pensate, o dette, se non addirittura scritte), fatto sta che già questo aspetto, almeno in prima battuta quando questa sensazione aleggia nel pensiero, è una qualità rara e preziosa.
Un’opera quindi importante, non conclusiva e spiazzante, profonda ed universale, che merita di essere amata, ma che può anche essere vista come pretestuosa ed in fondo Nuri Bilge Ceylan nel suo cinema ha sempre richiesto uno sforzo anche se questa volta personalmente è venuto tutto in modo più facile e naturale del previsto.
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