Regia di Giulio Petroni vedi scheda film
Ottavio, detto il Conte, esce di galera. Il suo primo pensiero è quello di riunire un gruppo 'di lavoro' per mettere a segno una rapina col classico sistema del buco. Ma i 'colleghi' del Conte hanno un'idea migliore: derubare dei suoi gioielli una ricca signora della Milano bene durante una prima alla Scala. Franco, il playboy del gruppo, viene scelto per adescare la donna. Neanche a dirlo, le cose prendono subito la piega sbagliata, soprattutto per via della gelosia della fidanzata di Franco.
Dopo il successo de I soliti ignoti, la parodia in chiave smaccatamente comica, grottesca, con ambientazione settentrionale: si parla di questo I soliti rapinatori a Milano, film di Giulio Petroni rimasto ingiustamente nell'oblio per decenni e tornato a galla solamente grazie ai prodigi e ai misteri del web. Non è un capolavoro e neppure una commedia esaltante o da sbellicarsi dalle risate, questo va messo subito in chiaro, ma il lavoro è confezionato con cura, scritto abilmente e la storia, pur essendo basata su poco o niente, si regge in piedi quanto basta per dar vita a un'ora e mezza di gag con un cast di alto livello (quantomeno per il contesto). Sono della partita, infatti, Franco Fabrizi, Mario Carotenuto, Vittorio Congia, Jacqueline Sassard, Peter Baldwin e Tiberio Murgia, che insieme a Carlo Pisacane (in una particina ridottissima) e a Piero Umiliani (colonna sonora debitamente jazzata, sulla base dello standard My Bonnie lies over the ocean) costituisce l'anello di congiunzione con la pellicola monicelliana di tre anni prima. Il ritmo è discreto, qualche buona battuta va a segno (il bodyshaming, come oggi si direbbe, nei confronti di Dori Dorika/Maria è impietoso e feroce; il personaggio di Fabrizi, vitellonesco oltre ogni dire, è irresistibile), la recitazione è – come già rilevato – piacevolissima. Sostanza poca, si potrebbe riassumere, ma dosata sapientemente nella sceneggiatura a tre teste: Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi, Mario Guerra. 4,5/10.
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