Regia di Thomas McCarthy vedi scheda film
Altro film che passerà inosservato in questo caldo luglio di vuoto desolante nella programmazione delle multisale. O meglio, la prima settimana d'uscita qualche spettatore lo farà ma sarà una meteora. Ma è tutto come previsto, nell'estate cinematografica più triste di sempre. Un'estate in cui anche diverse multisale chiudono per ferie, come a dire "Stagione morta, state pure a casa". Escono -evabbè- alcuni blockbuster a cui gli esercenti si aggrappano ma che io trovo tutti pessimi (alcuni inguardabili). Ma veniamo a questo "Cobbler", film che da noi e anche in patria (USA) è stato massacrato in contemporanea da critica e pubblico. A mio avviso (mi sono documentato) la critica ha esagerato, accanendosi senza pietà su un prodotto di media qualità. Davvero non capisco tanta cattiveria nei confronti di un filmetto non così orribile come in tanti hanno scritto. Intanto comincerei col difendere (almeno parzialmente) Adam Sandler, dalla stampa qui giudicato un incapace e che invece secondo me esibisce uno stile di recitazione trattenuta proprio perchè è il copione a richiedere quest'impostazione di giovanottone un pò impacciato e fors'anche timido. Poi io ADORO l'ambientazione. Ed è curioso, perchè questo scenario della New York della Lower East Side (mai stato in America in vita mia) ho imparato ad amarlo proprio vedendolo al cinema, in decine di film, dove si fa riferimento a questo quartiere pieno di negozietti antichi e di anziani che devono soccombere ad una rivoluzione immobiliare (e anche sociale) che ha come evidente fine quello di SPECULARE, per trasformare una vecchia zona della città in un "Parco Giochi per Ricchi" (definizione che viene data in questo stesso film), insomma un quartiere di uffici e grossi negozi, alla faccia di chi ci ha trascorso una vita intera e viene messo nelle condizioni di andarsene per forza. Ma prima di riprendere nella narrazione di questo sfondo, va detta una cosa. Il film è una sorta di monumento all'antica arte del Calzolaio. Sì, perchè il giovane Max, ciabattino protagonista del film, prosegue l'attività che fu del padre (ben quattro generazioni di calzolai!). E il film ci mostra un'infinità di dettagli (che ho apprezzato tanto!) su come si riparano un paio di scarpe, dalle cuciture alle suole e altro. E' il classico mestiere umile di quelli che oggi non interessa fare a nessuno, ovvio. E il giovane Max lo svolge con serietà e dedizione. Finchè un giorno non gli càpita qualcosa di magico che attribuisce al film una piega quasi disneyana. Non temo accuse di spoiler se svelo una cosa di cui tutti i giornali hanno parlato e che si evince chiaramente dal trailer. Il calzolaio Max scopre che -aggiustando le scarpe con una vecchia macchina che teneva in cantina- calzando quelle scarpe lui può assumere i connotati del proprietario delle calzature medesime. Insomma una specie di incantesimo. E di lì parte una serie di gag e svolte narrative che si susseguono a raffica. Non tutte queste svolte sono riuscite, ogni tanto il film annaspa e si perde, ma poi riprende quota. Come dicevo, l'ambientazione della brava gente della Lower East mi è piacuta da morire e anche il modo di raccontare le varie trasformazioni indotte dalle "scarpe fatate" è spesso divertente. Non tutto funziona ma -ripeto- il film non è affatto quel disastro prospettato dalla critica. Alla regìa troviamo quel Thomas McCarthy reso celebre successivamente (il film è stato girato due o tre anni fa) dall'ottimo "Il caso Spotlight". Quanto al cast, detto di un buon Adam Sandler (non eccezionale ma decente), segnalo un grande Steve Buscemi, un appena sufficiente Dustin Hoffman, il rapper Method Man nel ruolo del cattivone e infine un quasi cammeo della ancora piacente Ellen Barkin. Nulla di che, ma film passabile e discreto.
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