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99 Homes

Regia di Ramin Bahrani vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su 99 Homes

di alan smithee
6 stelle

FESTIVAL DI VENEZIA 2014 – CONCORSO

Nell’America di oggi, quella che ha ormai smesso, ormai da tempo e a proprie spese, di credere nel miracolo economico e nella possibilità di cavalcare l’onda del successo sulla scorta del proprio semplice entusiasmo e della propria voglia di lavorare, un giovane padre, in arretrato col pagamento del mutuo con cui ha comprato la propria casa, viene sfrattato assieme alla giovane madre ed al proprio figlioletto, e costretto a raccogliere le poche cose ancora di sua spettanza ed a trasferirsi in un anonimo motel assieme ad una popolazione di altri vinti, di falliti, di gente che non ha saputo giocarsi brillantemente la strada per il successo. Di fatto egli, operaio edile specializzato e piuttosto bravo e versatile, ma disoccupato con la crisi dell’edilizia che ha fatto seguito al crack economico di poco precedente, si vede crollare addosso il mondo; ma nello stesso tempo rimane affascinato dalla controversa figura dell’agente immobiliare che si occupa della sua, come di molte altre cause.

Sveglio ed intraprendente, il ragazzo saprà conquistarsi la fiducia nell’uomo divenendone il suo collaboratore più fidato, ed attuando su altri sventurati le stesse misure cautelative e demoralizzanti che egli stesso subì dal suo capo e mentore: il quale si scopre anche intrallazzato con operazioni speculative che metterebbero a repentaglio molte altre famiglie con la compravendita di alloggi situati in posizioni strategiche per la costruzione di una nuova rete stradale.

Il regista statunitense di origini iraniane Ramin Barhani dirige un film che si addentra energicamente all’interno di un sistema corrotto e perverso che ha fatto seguito o da corollario a quello della speculazione edilizia che ha portato al fallimento di molte banche e alla destabilizzazione di un settore fino a poco tempo prima considerato inaffondabile e fonte di sicurezza per i propri risparmi.

Il film appare girato piuttosto bene, dinamico e centrato nel suo voler soffermarsi sull’esasperazione del singolo, costretto a subire una vera e propria violenza e a ritrovarsi di colpo solo (o con i propri cari), per strada, esposto ad ogni intemperia fisica o morale, incapace di assicurarsi una sussistenza che permetta a se stesso ed ai propri cari di andare avanti.

L’America dell’indigenza che subisce a vantaggio di un ceto di scaltri che si assottiglia ma arricchisce in forma esponenziale. Il capitalismo esasperato che schiaccia ed uccide gli onesti e gli sfortunati e premia la brillante scaltrezza di chi riesce invece a cavalcare l’onda, speculando sulle disgrazie altrui.

Il film offre un buon approccio al problema, si fa forte di un trio attoriale davvero notevole, con la solita gemma apparentemente fuori controllo rappresentata dal gigante Michael Shannon, ma eccede nella sua seconda parte in una eccessiva spettacolarizzazione della disperazione da parte dei vinti e dei defraudati, svoltando un po’ troppo a briglia sciolta, se non incontrollata, sul versante emotivo ed emozionale, e finendo per perdere, almeno in parte, il valido, razionale ed affilato piglio narrativo con cui era caratterizzato il suo tenace incipit.

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