Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
L'ultimo film che avevo visto di Peter Greenaway, parecchi anni fa, era stato "Otto donne e mezzo", che si era rivelato una grossa delusione per il suo carattere sostanzialmente vacuo e masturbatorio. Fa piacere ritrovarlo adesso con un'opera molto più interessante e per di più incentrata su Eisenstein, uno dei miei registi preferiti. Interessante soprattutto perché, per una volta, privilegia l'uomo rispetto all'artista, le sue pulsioni sessuali di cui non si era parlato quasi mai in precedenza, la breve storia con la guida messicana Jorge Palomino Canedo, confermata in un libro biografico sul regista di Masha Salazkina (ma sembra che in Messico Eisenstein ebbe un'avventura anche col suo aiuto regista Grigori Alexandrov, qui ridotto a insignificante comparsa, che molti anni dopo avrebbe montato "Que viva Mexico" nella versione in cui si può vederlo oggi). Greenaway recupera l'audacia formale dei suoi film più riusciti, con una stimolante costruzione barocca dell'inquadratura e un montaggio che rievoca sia quello delle attrazioni del maestro sovietico, sia lo "schermo tripartito" utilizzato da Abel Gance in "Napoleon". La fotografia e l'uso del colore sono spesso ammalianti e degni dei lavori di Sacha Vierny nei film più famosi, mentre mi è sembrata un po superflua la ricerca di effetti tridimensionali senza il 3d in alcune immagini della parte iniziale. Ma al di là di tutto ciò, il ritratto di Eisenstein è all'altezza della fama del suo creatore? Il personaggio ci viene proposto come un dandy alla Oscar Wilde, egocentrico e genialoide, molto efficace nell'interpretazione di Elmer Back, ma forse con qualche eccesso "camp" che finisce per stridere (le telefonate con la futura "moglie di facciata" Pera Atasheva mentre Sergei si agita nudo sotto la doccia; la bandiera rossa piantata nel buco del culo ecc.) E anche alcuni dei personaggi di contorno come Mary Sinclair finiscono per risultare figurine piuttosto posticce, mentre stupisce la totale assenza di accenni alla lavorazione di "Que viva Mexico" e si ritrova un insistito feticismo dei piedi e delle scarpe di netta matrice bunueliana. In ogni caso, al di là di quelli che possono essere percepiti come limiti, il film è spesso vitale, sfrontato ed esuberante e ricorda spesso il Greenaway dei tempi migliori. La scena della penetrazione con annesso trattato sulla diffusione della sifilide non scade nella facile volgarità, le riflessioni sul risveglio dei sensi nell'artista di regime e l'influsso nefasto della repressione sessuale non sono troppo scontate o gratuite. Insomma, una scommessa in buona parte vinta, e adesso ci piacerebbe vedere la seconda parte del progetto del regista britannico su Eisenstein. Magari i rapporti del maestro con il tiranno Josef Stalin che censuro' "La congiura dei boiardi"?
Voto 8/10
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