Regia di Andrej Zvyagintsev vedi scheda film
Sul mare di Barents, nord della Russia, tra carcasse di balene e barche vive Kolya, un meccanico che con la giovane moglie Lilja e il figlio adolescente di primo letto Roman possiede una casa posizionata in un punto strategico che fa gola al sindaco Vadim, il quale vorrebbe demolirla per costruirci un traliccio. Kolja, sanguigno e tenace si rivolge a Dimitri, un vecchio amico di leva, ora avvocato di successo a Mosca, per difendersi e chiedere un indennizzo equo del bene. Le cose invece che risolversi si complicheranno.
“Leviathan”, ha un duplice accesso: filosofico e religioso con Hobbes che riprendeva la figura biblica del Leviatano e il libro di Giobbe che il film utilizza come potente metafora dello Stato nella Chiesa e viceversa, che si fondono come singola unità e interpreti della parola divina. Nell’opera cinematografica il Leviatano è un patto sublimato dal potere politico rappresentato dal corrotto e prepotente Vadim e in un paio di scene chiave dal Pope della chiesa ortodossa. Il monito finale, perpetuato da tocchi di campane lugubri, è eloquente: non abiurate alla vera fede e all’unità dello Stato. In nome di questa alleanza il piccolo uomo Kolja viene travolto da una serie di eventi che lo annienteranno. Neanche le parole, estratte dalla Bibbia e pronunciate dal Pope del villaggio, servono a consolare il povero e impotente protagonista. Neppure la compagna vodka può colmare le ingiustizie.
Non è difficile leggere in “Leviathan”, del coraggioso e convincente Andrej Zvjagincev, il potere di Putin saldato con la fede ortodossa in nome del popolo e di una nuova forma di impero. Chi si oppone viene schiacciato e nella significativa scena della gita di caccia l’amico di Kolja tira fuori i ritratti degli ex grandi della Russia da prendere come bersagli, tutti tranne il bigliettaio Eltsin e appunto Putin. Meglio non rischiare con lui.
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