Regia di Andrej Zvyagintsev vedi scheda film
In Italia non lo si vedeva dal 2003, quando vinse il Leone d'oro con Il ritorno, storia di una paternità difficile. Poi, ogni film almeno un premio: quello per la migliore interpretazione maschile (Izgnanie) e il gran premio della giuria (Elena), entrambi a Cannes, ambedue invisibili da noi. Poi arriva questo Leviathan, premio per la miglior sceneggiatura ancora a Cannes nonché Golden Globe 2015 come miglior film straniero. Ancora una volta Andrey Zvyagintsev mostra una totale padronanza espressiva del mezzo filmico, scaraventando sulle nostre retine immagini magnifiche fin dalla prima inquadratura e procedendo nuovamente con un racconto ellittico e sospeso ai limiti del mistero, algido e metafisico, nel quale trova ancora cittadinanza, anche se sulle quinte del copione, il tema della paternità. La vicenda raccontata è quella di Kolya (Serebryakov), meccanico assai scontroso spesso attaccato alla bottiglia, che vive col figlio adolescente e la seconda moglie in una casa collocata in una zona che fa gola al sindaco locale (Madyanov). Il potere devastante e laviatanico del politico corrotto gliela vuole demolire a suon di carte bollate e intrighi legali. Per difendersi, Kolya non ha altro che un principe del foro giunto appositamente da Mosca (Vdovichenkov), che ha con sé un dossier scottante riguardante il sindaco. L'avvocato sembra avere preso molto seriamente il suo impegno (ma perché? Chi è? Da dove viene?) ma poi le cose precipitano e Kolya si troverà solo a combattere una battaglia impossibile.
L'amicizia, il tradimento, la paternità, l'adolescenza, la mostruosità del potere sono le pietre angolari sulle quali poggia un racconto dai tempi dilatatissimi (sarà per questo che Zvyagintsev piace così tanto ai francesi?), giocato per sottrazione, popolato da personaggi meschini e ruvidi che compongono il mosaico di un'umanità sfatta e corrotta, emblema della Russia di Putin forse peggiore di quella zarista, che offre al titolo del film una duplice lettura: oltre a quella biblica, tratta dal libro di Giobbe, quella hobbesiana del Leviatano, l'espressione massima della mostruosità del potere di fronte all'impotenza dell'individuo.
Orecchio alle musiche: le ha firmate Philip Glass.
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