Regia di Andrej Zvyagintsev vedi scheda film
Premio alla sceneggiatura a Cannes 2014, Golden Globe 2015 per il miglior film straniero, Leviathan è una satira cupa e massimalista, una versione laica (e sarcastica nei confronti della Chiesa) del libro di Giobbe. Profondo nord della Russia, in un paese rurale su cui si schiantano sublimi le onde del mare di Barents e sulle cui spiagge s’arenano scheletri di balene, rovine di estinti leviatani, un uomo iroso, ferito dal passato, non vuole cedere la sua proprietà ai progetti di sfruttamento terriero del sindaco. E, come in un romanzo verista, con il passo determinista e il senso dell’assurdo che punisce i protagonisti del noir, la sua pretesa di resistere al mondo finisce in tragedia: il suo donchisciottismo è uno slancio patetico di fronte al potere, la sua hybris è annichilita dallo stato hobbesiano, il Leviatano. Perché se per voler di leggenda il Leviatano è l’irruente natura delle cose, fuori dal controllo dell’uomo (come l’amore della sua donna, come il paesaggio di onde e di ossa), lo Stato Leviatano sa come sfruttare biecamente questo caos, come rimettere l’uomo al suo posto, piccolo e ridicolo. E a fronte di questa visione del mondo, il film sceglie un formalismo realista e solenne, che sa di usare una piccola storia come parabola, e l’umanità che lo abita come pedina di un teorema: procede ineluttabile, con umorismo nerissimo, con un respiro programmatico che toglie pathos al dramma e non conosce dialettica, solo risposte sicure, immobili e terribili.
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