Regia di Boris Lojkine vedi scheda film
Un importante film sul fenomeno migratorio della nostra epoca, firmato da un abile documentarista e interpretato da attori non professionisti. Presentato alla Semaine de la Critique", Cannes 2014.
La trama riassunta nella scheda del sito si discosta ampiamente dalla realtà ed è persino fuorviante. “Hope” è un film durissimo, quasi documentaristico, è una storia senza speranza, una cruda vicenda di emigrazione e disperazione, raccontata senza enfasi e interpretata da attori non professionisti. Léonard è un giovane camerunense, che ha lasciato il suo paese con il sogno di raggiungere l’Europa, trovare un lavoro e aiutare la famiglia restata in Africa. Nel suo peregrinare s’imbatte in Hope, una ragazza in fuga dalla Nigeria, disposta a tutto pur di arrivare a Melilla, l’enclave spagnola in Marocco. Tra i due nasce un rapporto di interdipendenza. Lei si prostituisce, procura denaro per andare avanti nell’interminabile viaggio e s’innamora di Léonard, l’unica persona che, anche se a caro prezzo, la protegge. Lui non l’ama, pensa unicamente al suo traguardo, ma ha bisogno della ragazza per pagarsi le varie tappe obbligate di una migrazione incanalata in reti mafiose locali. Con lei sarà sempre corretto, la sfrutterà ma le sarà vicino in ogni momento, fino allo straziante finale.
Prima esperienza in veste di regista per Boris Lojkine, francese, ex-docente di filosofia e documentarista. Pur avendo partecipato alla “Semaine de la critique” del Festival di Cannes nel 2014, il film non ha goduto dell’attenzione e della diffusione che, a parer mio, avrebbe meritato. Ne sono protagonisti personaggi di varie provenienze, costretti a passare attraverso veri e propri ghetti nei quali si organizzano lavoro in nero per piccoli boss locali, prostituzione, azioni criminali, rifiutando i quali non si va avanti. Non si tratta necessariamente di gente in fuga da guerre o persecuzioni, ma disperazione e terrore di tornare indietro sono gli stessi, il desiderio di raggiungere l’Europa è identico, come identica è la rassegnazione all’idea che per molti questo sarà l’ultimo viaggio. Nonostante la violenza estrema delle situazioni in cui vanno a cacciarsi i vari personaggi, l’autore si mantiene distante da qualsivoglia spettacolarizzazione, affidando la tensione e la dura prova cui sottopone anche lo spettatore all’intensità dei dialoghi, all’espressività degli sguardi, al realismo con cui recitano attori che, oltre a non essere professionisti, sono tutti migranti autentici. Per motivi di sicurezza, i ghetti attraversati sono stati ricostruiti in Marocco, sulla base di testimonianze dirette e di una fitta documentazione fornita da svariati organismi internazionali. Una preparazione che ha richiesto anni di lavoro. Basti pensare che, una volta giunto in Africa, Boris Lojkine riscrisse interamente la sceneggiatura preparata in precedenza, considerandola completamente avulsa dalla realtà.
Suggerisco la visione di questo riuscitissimo film a tutti coloro che si ostinano a voler distinguere tra profughi “politici” e profughi “economici” di fronte ad un fenomeno migratorio il cui livello di sofferenza sfugge alla nostra normale immaginazione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta