Regia di Esmaeil Mihandoost vedi scheda film
Il cinema iraniano è in marcia. Quasi sempre a bordo di veicoli a motore, che sono la metafora del percorso della vita. L’idea, lanciata da Abbas Kiarostami nel suo Dieci, continua ad essere riproposta, dagli epigoni della nouvelle vague persiana, per rappresentare il conflitto tra le spinte al rinnovamento, maturate nella sfera privata, e la stagnazione imposta dal regime politico. Anche in questo film si gira in tondo, tracciando un cammino che torna al punto di partenza. L’avanzamento è solo apparente, ma avviene lungo un tragitto tortuoso, segnato dall’ambiguità, dal sospetto, da convenzioni che creano sicurezza ma vengono poi rosicate dall’invidia e dalla malizia. La vita non è affatto una faccenda semplice, disciplinabile secondo le regole del buon costume, declinate secondo le perentorie categorie del mai e del per sempre. All’improvviso, la strada dritta ed illuminata dal sole può finire dentro una giungla, attraverso la quale si può procedere solo a tentoni, con il continuo rischio di incorrere in invisibili insidie. Narges è la classica sposa felice. Realizzata come moglie e come donna, è assolutamente certa della fedeltà del consorte Masoud, un imprenditore affermato che la tratta amorevolmente e non le fa mancare nulla. L’incantesimo comincia a spezzarsi nel momento in cui Nahid, una sua amica d’infanzia, che un tempo occupava con il marito l’appartamento soprastante il suo, si rifà inaspettatamente viva dopo una lunga assenza. La donna vive da anni ad Ottawa, si è separata, ed è tornata momentaneamente a Teheran per sbrigare alcuni affari. Nahid, gelosa del benessere di Narges, la coinvolgerà in un gioco crudele, che sfuggirà al suo controllo, producendo conseguenze drammatiche. L’intreccio, segnato, come in una commedia, da una studiata combinazione di equivoci e coincidenze, descrive l’involuzione della coscienza, che dall’onestà precipita nella meschinità, lungo la scia di una perversione basata su un sadico gusto dell’inganno. Nessuno dei personaggi riesce a sottrarsi a questa subdola spirale degenerativa, che li trasforma rapidamente in traditori, vili individui che cercano il godimento nello spettacolo dell’altrui disillusione. Questo male, antico quanto l’uomo, è alla base di tutte le lotte per il potere, e non esiste ordinamento sociale che possa prevenirlo. L’esordiente Esmaeil Mihandoost, autore, regista e produttore del film, si diverte a condurci attraverso un grosso pasticcio artificiosamente costruito, del tipo che solo i lati più subdoli della natura umana sanno fabbricare. Tutti contribuiscono ad ingarbugliare la matassa, in maniera più o meno consapevole, dando in ogni caso il peggio di sé. La comune matrice è quel fondo di vigliaccheria che le avversità, create dalla sfortuna o dai nemici, mirano costantemente a mettere alla prova. È quella l’origine di tutti gli errori: la volontà di cercare il proprio riscatto sacrificando i propri principi ed affetti. I tesori più preziosi si buttano via, ivi compreso il bene stesso della vita. Succede in un lampo, senza che ce ne rendiamo conto, sulla scia di un macabro divertimento che scambiamo per la sana pratica del saper vivere.
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