Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Che Veronesi non fosse Billy Wilder lo abbiamo sempre saputo, ma con Una donna per amica si è toccato il fondo. Il problema che emerge è lampante: questo prodotto non può essere recensito utilizzando le categorie critiche in uso per la categoria “film”. Ma, per dovere di professione, ci proviamo ugualmente. La trama, semplicemente, non esiste: lo spettatore assiste attonito a un’ora e mezza di episodi in cui, senza motivo, personaggi appaiono e scompaiono nella vita di Francesco e Claudia, amici residenti in una località pugliese ripresa per doveri di sponsor (Apulia Film Commission). Il montaggio sembra accostare scarti e fegatelli di una vera pellicola, slegati temporalmente e logicamente, e privi di ogni elementare continuità: non c’è componente di una sequenza che possa essere motivata nella precedente e persino i dialoghi diventano moncherini di una sceneggiatura non più tale. A fare da sottofondo allo sconforto, un desolante tappeto sonoro-musicale con temi riciclati da Che ne sarà di noi e imbarazzanti vuoti da colmare con risate. Ma non si ride mai, perché i tempi comici fanno rimpiangere quelli di Pieraccioni e persino di Bombolo; perché i siparietti sono diluiti per raggiungere il metraggio da contratto; perché De Luigi e la Casta annaspano come aragoste in una pentola a pressione e perché aleggia un olezzo di razzismo territoriale negli stanchi gag (ripetuti 11 volte) che vedono Francesco guardare basito pugliesi che parlano in dialetto. Per questo (e altro) Una donna per amico non è un film. È altro.
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