Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Che presuntuoso, Giovanni Veronesi.
Credendo di stare a realizzare (e venderci) chissà quale opera arguta in grado di far divertire e riflettere (mai sentita, eh), vanifica grossolanamente l'unico vero motivo di interesse, ossia la presenza di Laetitia Casta.
Anziché inseguirla, baciarne il meraviglioso accento, farne oggetto carnale di sfuggente selvaggia bellezza, adorarne ogni perfetta imperfezione, la costringe in vesti improbabili (di professione veterinaria con sorellastra tossica a carico), la infila in situazioni penose (tipo il ballo sui tavoli); la porta, infine, in una crescente, imperdonabile trascuratezza.
Invece il punto nevraligico - e nevrotico, comme d'habitude - è Fabio De Luigi, alla centounesima performance da tizio sfigato ma buono (qui è uno "stimatissimo" avvocato e convinto ambientalista). Simpatico e scapigliato, come sempre; però un tantino ripetitivo, sebbene il termine non rende bene l'asfissiante senso di déjà vu. Si è pur (pre)disposti a subirne il repertorio (imparato pressoché a memoria, e al quale, nell'occasione s'aggiunge una "spassosissima" afonia di origine psicosomatica).
Niente da fare: De Luigi trotterella con il consueto fare incasinato, da bersaglio (facilissimo) di piccole innumerevoli disavventure (finanche incomprensioni linguistiche comprese, sempre nell'ottica della più elementare, abusata contrapposizione nord/sud), tra le quali quella più rilevante è l'innamoramento per l'amica Casta.
Ora, ironie (e battute scontate) a parte, la stori(ell)a è una rob(ett)a semplice semplice di modestissima entità: evitata opportunamente e sbrigativamente ogni seppur vaga premessa di narrazione e contesto, il film procede senza alcun senso (svanendo nel nulla al palesarsi dei liberatori titoli di coda come residui urinari dopo lo sciacquone), non si interroga affatto né per un momento sulla (im)possibilità dei rapporti di amicizia tra i sessi (perché se ne frega, è evidente: quello che conta è il sollazzo).
Soprattutto, non dice niente di nuovo; anzi, in realtà, a ben vedere, non dice proprio niente e basta.
È tutto soltanto un susseguirsi pasticciato di riprese cartolinesche (su sfondi, bellissimi ma sfruttatissimi e scollegati, del Salento), di siparietti sentimentali da fascia televisiva pomeridiana (a voler esser buoni), e di pallidi pallosi sketch che di comico hanno solo la pretesa - dalle inutili parentesi riempitive con (l'insopportabile) Geppi Cucciari in modalità donna-incazzata-con-gli-uomini-tanto-che-ne-ha-evirato-uno (ah, che ridere!) a quelli di ordinaria amministrazione delle sfortune del protagonista.
Stato tenuto, con impudenza (quasi da denuncia penale), fino alla fine, quando ancora una gag, posticcia e prolungata (onde rimpolpare l'esiguo minutaggio), rovina il solo reale e sincero momento di intensità e intimità dell'intero film (il "mancato" incontro sette anni dopo).
Che spreco.
Pardon Laetitia.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta