Regia di James Gunn vedi scheda film
Spassoso. Divertente. James Gunn azzecca tutto. Se non ci troviamo difronte a un nuovo Star Wars – e infatti non ce n’è bisogno – in cui filosofie e drammatiche varie arricchivano l’azione e la fantasmagoria interstellare, Guardiani della Galassia è la prima, unica, vera e propria space-opera-pop della storia del cinema. Gli elementi fondamentali sono il genere di appartenenza, la modulazione narrativa in linea con tale genere, l’intertestualità non con altri film dello stesso genere, bensì con la cultura moderna di varia natura – come il mito per Kevin Bacon e Footloose (1984) – un protagonista, il trascinante Chris Pratt, che già veicola un background extratestuale – simpatico e indispensabile miglior amico in Everwood (2002-2006), ma anche attore mai decollato al cinema, ingrassato, quasi irrimediabile e qui in gran spolvero – sorretto da una schiera di comprimari ideati e resi in stato di grazia, una colonna sonora da urlo e la palese dichiarazione d’amore per la pura postmodernità di accezione pop.
L’idea è proprio quella di rispettare il genere non rispettando le basi originarie, ma piuttosto la sensazione principale che tale visione scaturisce nello spettatore avvezzo come neofita. Se la space-opera è la narrazione di avventure spaziali che partono da un presupposto di realtà, e la Sci-Fi invece parte da un presupposto di fantasticheria, di mondi alieni e così via, la space-opera-pop teorizzata da Guardiani della Galassia parte sempre da un presupposto di realtà per passare alla Sci-Fi pura arricchendola, o meglio influenzandola strutturalmente ed immaginificamente di ulteriori operatori di attualità, come appunto i commenti musicali diacronici, ma diegetici. Il gioco emotivo che provoca è uno riazzeramento dell’idea canonica di Sci-Fi per presupporre una nuova partecipazione dello spettatore al genere di partenza, creandone uno nuovo in termini di impostazione di dominanti strutturali – il legame con il Pianeta Terra, l’ambientazione spaziale, la cultura pop di riferimento, la colonna sonora fuori cronòtopo, l’umorismo imperante e una deriva “cattivista” e non edulcorante delle tematiche in campo.
Se il mitico Space Balls (1987) era a tutti gli effetti una parodia e se la trilogia di Ritorno al Futuro (1985-1990) ci era andata vicino senza definire la nuova deriva, Guardiani della Galassia riesce invece a colpire al centro. Non soltanto proponendo qualcosa di nuovo che per gli addetti ai lavori si trasformerà anche in una nuova fase dell’universo Marvel al cinema, ma rigenerando la Sci-Fi con la stessa operazione di Barboni con il western nel 1972 proponendo Lo chiamavano Trinità. Il genere non è più un fondale davanti al quale mettere in scena un film comico, ma resta tale integrandosi con un approccio postmoderno, citazionista, metadiscorsivo che ne autorizza una nuova epifania.
Il ritmo è incalzante e non perde un colpo. I personaggi sono spassosi e trascinanti, anche i generici e le comparse. Chris Pratt svetta su tutti come corpo comico-avventuresco rigenerato anche lui da questa operazione simil-reboot e guida la posse dello spazio composta da Zoe Saldaña, Dave Bautista e in capture-motion Bradley Cooper nei panni del procione bastardo Rocket che dà dei fascisti ai poliziotti che lo beccano e Vin Diesel in quelli dell’indolente albero umanoide Groot che dispensa tanta comicità pura keatoniana quanto brevi sprazzi di poesia. Ma il cast non si ferma certo qui: Benicio del Toro, Michael Rooker, Djimon Hounsou, John C. Reilly e Glenn Close fanno bene la loro parte e soprattutto non sono mai una sola volta fuori luogo.
Guardiani della Galassia ci scaraventa in un epica spaziale opposta parodicamente a Guerre Stellari, senza implicazioni filosofiche e gravità drammatiche di varia forma, bensì piena di humor, nostalgia postmoderna e leggerezza nerds. Il risultato è una Sci-Fi 2.0 che senza prendersi sul serio ha messo d’accordo pubblico e critica e ha seriamente ipotecato il titolo di “cult subito”.
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