Regia di Enrico Lando vedi scheda film
Amici come Pio e Amedeo gestiscono pompe funebri high tech (Hai L’Under, spelling “intuitivo” di Highlander) dove il momento del passaggio diventa esperienza tonificante (cassa abbronzante) o pausa relax (caffè da bara). Uno sta per sposare un’angelicata maestrina, l’altro rimpiange la carriera calcistica e ignora il concetto di sobrietà (tra le tante parole). Il primo scopre che la futura moglie ha girato un video hard (il tatuaggio sul coccige parla chiaro - e tamarro), il secondo gli mostra la via d’uscita. Fuggi da Foggia, col tormentone musicale omonimo e il macchinone già pagato dalla suocera: tra Roma e Milano, accampati a casa di una vecchia fiamma da rinfocolare o ospitati dallo zio ricco che ha scelto la sedia a rotelle per pigrizia, Pio e Amedeo fanno il salto dello schermo (dalle Iene a 400 sale) senza l’ostacolo della sceneggiatura. Taglia e cuci di sketch tv più attento alle cesure che alle suture, Amici come noi non perde tempo a riempire le voragini del racconto e s’infila dritto e un po’ tronfio nello spirito del tempo. «È il mondo che parla così», si giustifica Amedeo quando Pio lo rimbrotta per il lessico, e la pugliesità esportata dal duo comico è tanto estemporanea (flebile, dimenticabile) quanto contemporanea, facile specchio regionale di un esemplificato cafonal generale. Replicano il rito del passaggio (da Checco Zalone a i Soliti Idioti), rimbalzano al cinema senza manco pensarlo, atterrano sull’ormai usurato Tappeto di fragole dei Modà. Rinfrescato da coreografia bollywoodiana.
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