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Le soldatesse

Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film

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La recensione su Le soldatesse

di Peppe Comune
7 stelle

Il sottotenente di complemento Martino (Tomas Milian) è incaricato di scortare dodici ragazze greche che sono state reclutate dall'esercito d'occupazione italiano per prestare servizi sessuali nei bordelli militari appositamente istituiti.

Tratto da un romanzo di Ugo Pirro, "Le soldatesse" di Valerio Zurlini ne mantiene lo spirito  melodrammatico di fondo aggiungendovi l'impronta inconfondibile del modo di fare cinema dell'autore emiliano che qui si evidenzia in una precisione maniacale nel caratterizzare i personaggi . Il film ha l'indubbio merito di mettere in evidenza una pagina della storia italiana tanto ignobile quanto dimenticata e può avvalersi della presenza di un gruppo di grandi attori come Tomas Milian, Mario Adorf, Anna Karina, Marie Laforet, Lea Massari. Il film cresce gradualmente di drammaticità e quella che sembrava una semplice missione di routine per il tenente Martino, si trasforma a mano a mano in un viaggio nel ventre molle della guerra, nel suo corollario di morte e dolore, a tastare con mano lo stato di sottomissione imposta a inermi popolazioni. Come recita la didascalia iniziale, Mussolini dichiarò guerra alla Grecia per dimostrarsi all'altezza del suo alleato tedesco. Era convinto che si fosse trattato di una guerra lampo, ma invece durò molto tempo e costò la morte a più di ventimila uomini e il ferimento di più di sessantamila. Il film sembra seguire lo stesso andamento umorale. A una prima parte caratterizzata da un clima abbastanza calmo e conviviale, fa da contrappunto la seconda che è quella in cui i segni della guerra entrano prepotentemente in gioco a procurare paure e tensioni, a rimescolare le carte dei progetti su cui ogni passeggero del camion aveva investito il proprio futuro. La paura delle imboscate dei partigiani in lotta per la liberazione della loro terra e il fanatismo guerrafondaio delle camicie nere rimettono in moto una serie di sensazioni impure che ognuno credeva con questa missione di essersi lasciato alle spalle. Il tenente Martino ha accettato la missione per allontanarsi il più possibile dagli orrori del fronte al confine con l'Albania dove ha combattuto ; il maggiore delle camicie nere è sul camion perchè gli serviva un passaggio e vive quel viaggio in compagnia di belle ragazze come una scampagnata ; le ragazze vivono con spensieratezza il fatto che si sono rese disponibili a soddisfare i più bassi istinti dei loro occupanti, come se ciò, oltre a fargli vincere la fame, le garantisse anche una sorta di impunità a tempo. Tra loro c'è Eftikia, una ragazza più sensibile delle altre, quella a cui Zurlini affida il compito di rappresentare la coscienza critica di un popolo sottomesso dalla protervia nazi-fascista. Nel bellissimo finale, Eftikia dichiara che non sarà capace di perdonare chi ha fatto tanto male al suo popolo, uccidendo, distruggendo, ma soprattutto, compromettendo per sempre la capacità dei più giovani di credere nella "gentilezza, la dignità, il rispetto per i più deboli, la bontà per i nostri simili". Parole dure che suonano come un grido di dolore contro tutte le guerre, un monito contro i revisionismi all'acqua di rose tanto di moda. Se c'è un'appunto che può essere mosso al film (e al romanzo evidentemente) questo è di ordine strettamente storiografico e attiene alla rappresentazione della marcata separazione tra l'esercito regolare e le camicie nere. Se è vero che le camicie nere, per definizione, erano degli apologeti dell'ideale fascista mentre i militari non necessariamente dovevano esserlo, tutt'altro, è altrettanto vero che presentare la differenza quasi come se si trattasse del confine manicheo tra il bene e il male mi sembra una forzatura poco seria. Ciò nonostante, abbiamo un'altro grande film di Valerio Zurlini.

 

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