Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film
Diciamocelo chiaro e tondo: gli italiani non sono (stati) brava gente. In Jugoslavia, in Albania, in Grecia, ne hanno combinate di tutti i colori. Forse non quante ne hanno fatte i tedeschi, ma è soprattutto una questione d'organizzazione. Qui Zurlini ce lo fa vedere, in un film ben girato sulle stradicciole di montagna dell'ex Jugoslavia, che simulano quelle analoghe dei monti greci. E nelle sequenze ambientate tra le montagne c'è la parte migliore del film, che sembra derivare direttamente da "Ombre rosse" di Ford, con la diligenza (un camion con a bordo alcune prostitute greche, due soldati del regio esercito e un ufficiale della milizia fascista) minacciata dai partigiani/pellerossa che potrebbero sbucare all'improvviso dalle creste rocciose. Per il resto, il film di Zurlini indulge un po' troppo al romanzesco e al patetico, con un gruppo di prostitute volontarie d'inaudita pudicizia e che parla con la lingua forbita di un Omero o di un Esiodo. E però, negli sguardi taglienti e freddi di Eftikia (Marie Laforêt) c'è tutto l'odio che un popolo schiavizzato e oltraggiato ha verso l'invasore, il quale ha pure l'ardire di definire "traditori" coloro che combattono eroicamente per la libertà della propria terra. Il maggior merito di Zurlini è proprio quello di avere sollevato, a distanza di vent'anni dai fatti, il velo dell'oblio da una delle pagine più vergognose della storia italiana.
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