Regia di Josh Boone vedi scheda film
Dalle stelle alle stille (di umore lacrimale): "colpa" di questo polpet-teen in modalità Love Story (e d'altronde, ogni generazione reclama ed ottiene, legittimamente, la propria versione, aggiornata ai tempi e alle mode). Un perfetto concentrato/bignamino (di due orette) di sentimentalismo profuso dall'implacabile binomio storia d'amore-cancro in salsa giovanile.
La voce narrante della protagonista (la nuova eroina Shailene Woodley, apprezzabile per naturalezza) induce, con effetti istantanei, nel "mood" giusto: ci sarà da piangere e divertirsi, e struggersi ed ancora piangere, e soffrire. Non proprio "un'afflizione imperiale" (così recita il titolo del romanzo che la stessa adora e consuma), ma una esemplare, ricercatissima, riproposizione di tòpoi cari al genere, fino alla noia, ebbene sì.
Che ogni cosa sia, luminosamente, a suo posto, oltre che intuizione pleonastica è banale testimonianza: nel buio e nel silenzio della sala si percepiscono tutte le manifestazioni della "toccante partecipazione emotiva" (risatine, sospiri, singhiozzi più o meno trattenuti, mani che asciugano occhi bagnati e portano fazzoletti sul naso, ecc.), sintomo che il pubblico di riferimento - in clamorosa maggioranza, ragazzine - ha gradito, oltremodo.
Un trionfo (si vedano i numeri del box office USA) che attesta la riuscita di una formula vincente, preparata rispettando dettami specifici e gestendo efficacemente (il che è in ogni caso un merito) i differenti toni e ritmi. Un racconto forte della sua classica linearità nonché della sua rassicurante prevedibilità ("svolte" drammatiche incluse), col pilota automatico inserito: il lato leggero è rappresentato da uno humour facile facile, tipico (perché stravisto) di tanta letteratura a tema, quello romantico da una ideale (per quanto - e proprio perché - irta di travagli) unione tra due giovani della porta accanto (hanno simpatiche facce "normali", sono puri e casti e bravi ragazzi), portatori "sani" quindi di un sentimento tragico e bellissimo (ovvero banalotto: i "ti amo" e i "sei bella" si sprecano, così come non mancano frasi-sentenza, grandi gesti e grandi discorsi). Situazioni, dialoghi e metafore ad alto livello di riconoscibilità e "digeribilità" (ivi comprese marcate dosi di religiosità una tantum) conferiscono la così ben studiata aura di drammaticità, puntualmente sottolineata dalle immancabili melodie struggenti.
Tra cotanta ineccepibilità, stride giusto il ruolo piuttosto inutile e ridicolo dell'autore del romanzo di cui sopra (peraltro inserito nella parte ambientata Amsterdam, inevitabile tocco esotico con ambiziosa fermata nella casa-museo di Anna Frank), interpretato da un Willem Dafoe visibilmente svagato e fuori parte. Altra sprecata presenza lynchiana è Laura Dern, confinata in un personaggio - la madre della protagonista - a cui si può chiedere poco.
E poco - in termini di originalità, di utilità, di senso, di linguaggio - si può chiudere a Colpa delle stelle: okay, è un successo.
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