Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film
Sconcertante
Questa opera, mascherata da film fantascientifico, è in realtà un epico lavoro che può avere diversi livelli di lettura e interpretazione: da metafora sull'amore direttamente, a una più profonda riflessione sulla potenza -anche dilaniante- del ricordo e del passato, che in questo caso torna sotto forma di incarnazione di ciò che si è amato di più (“se stessi, una donna, la terra natia”), fino ad arrivare ad avere connotati mistici e trascendentali, quasi religiosi. Il contesto fantascientifico è solo mezzo per raccontare e presentare quella che è l’essenza fondamentale dell'uomo in quanto essere umano: immerso nelle domande sul senso della vita, sull'importanza dell'amore e sul destino connesso ad esso. Non a caso il protagonista, mandato in spedizione sulla base spaziale sul pianeta Solaris, è uno psicologo: risulta molto simbolico il fatto che, per indagare sulla situazione in cui versa l’equipaggio, non venga inviato un tecnico o un “mero scienziato”, ma una figura professionale che per mestiere ha quello di sondare la psiche umana, il suo subconscio e gli avviluppamenti della mente.
Kris Kelvin è il messaggero dell’uomo in quanto tale, come essere pensante e razionale (rappresentato nel suo iniziale scetticismo nei confronti dell'astronauta Berton e del suo racconto surreale sugli apparenti incontri avvenuti dallo stesso vent’anni prima sul misterioso pianeta), ma allo stesso tempo emozionale, reso umano dal suo bagaglio di esperienze passate.
Kelvin parte alla volta della missione spaziale, dopo aver salutato il padre in un lunghissimo e quanto mai funzionale prologo, dove trova i membri rimanenti della stazione Solaris: il Dottor Sartorius, l’astrobiologo, e il Dottor Snaut, il cibernetico. Dovrebbe esserci anche il fisiologo Gibarian, morto suicida poco prima dell’arrivo di Kelvin, ma che compare in diversi momenti tramite videomessaggi che gli ha lasciato, avvisandolo del pericolo a cui sarebbe andato in contro.
Ognuno degli scienziati è a conoscenza degli strani accadimenti che avvengono, causati dal vasto Oceano del pianeta, e ben presto anche il protagonista se ne rende conto: la grande distesa plasmatica è in grado di materializzare coloro che i vari abitanti della stazione sognano.
Per il fisiologo, colui che studia gli esseri viventi, compare una bambina con i campanelli al polso, probabilmente la figlia. All’astronauta, anni prima, un bambino gigantesco, “disgustoso”, che ha le stesse sembianze del ragazzino a cui successivamente farà da tutore. All’astrobiologo, colui che sonda la possibilità che ci sia vita in altri pianeti, si materializza invece (in una fugacissima scena) un essere che per sembianze è diverso dalla definizione di un umano per antonomasia (un nano che tenta la fuga dal laboratorio). Infine, allo psicologo, compare la moglie Hari, morta suicida dieci anni prima. Ad ognuno si associa una materializzazione diversa, in base al loro background: qualcosa di presente (la figlia), qualcosa di fantastico (il bambino gigante), qualcosa di agognato (un alieno), qualcosa di passato (la moglie); in essi si intravede il simbolo dell’uomo in quanto figura complessa, composta di diversi elementi come la carne, il sogno, il desiderio e il ricordo. Spesso questi aspetti possono essere in contrasto tra loro, come lo è il rapporto tra lo psicologo Kelvin e l’astrobiologo Sartorius: parti nell’animo umano in antitesi, ma che per questo non è detto che non possano coesistere.
La metafora della vita si concretizza con la materializzazione di uno dei principali sentimenti umani per eccellenza, vale a dire il ricordo in concomitanza con l’amore: Hari, la moglie di Kris, appare come una visione, con un primissimo piano sulle labbra e alle spalle i colori brucianti del tramonto. Kelvin la sogna, e la genere: un moderno Adamo da cui nasce la nuova Eva, non più frutto della animalesca carne (la costola) ma dal ricordo remoto, esclusiva del genere umano. Come nel racconto biblico, la comparsa della donna avviene nel momento di sogno dell’uomo, indicando il bisogno assoluto dell’ opposto, dello yang che necessita dello yin per essere completo.
Pische, razione e misticismo si mescolano in questo film in infiniti livelli di lettura, spalmati in quasi tre ore di narrazione, scarne di dialoghi o di colpi di scena eclatanti, ma ricchissime di pathos e tensione. Magistrale la "resurrezione" di Hari, rasenta quasi il genere horror, non tanto esteticamente ma per quanto riguarda l’atmosfera, tagliente e angosciante.
Russo il regista (Andrei Tarkovsky) e russo il film sotto molti aspetti (quali la lentezza, i grandi temi trattati e le varie citazioni della cultura russa, come i grandi scrittori Dostoevskij e Tolstoj, le tipiche iconografie religiose, l'arredamento e le illustrazioni bucoliche, in netto contrasto con l'ambientazione futuristica della base spaziale), ma che è in grado di adottare un linguaggio trasversale e universale tramite la presentazione di vicende umane che sono unanimi in ogni parte del mondo (e oltre?), per mezzo di una fotografia pazzesca e di una colonna sonora allucinante, e di un epilogo radicale ed estremo, che potrebbe sembrare, in base al personale punto di vista, positivo o negativo: l’abbandono definitivo al ricordo e il ritorno nel primordiale stato di protezione e sicurezza, la casa del padre e le cure della madre, in una condizione di totale abbandono ed esclusione, nell’isola della memoria.
Questo è uno di quei film che segna un punto di svolta e di rottura nella vita interiore di una persona.
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