Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film
"Noi non vogliamo affatto conquistare il cosmo, noi vogliamo allargare la Terra alle sue dimensioni. Non abbiamo bisogno di altri mondi, abbiamo bisogno di uno specchio. Ci affanniamo per ottenere un contatto e non lo troveremo mai: ci troviamo nella sciocca posizione di chi anela una meta di cui ha paura e di cui non ha bisogno. L'uomo ha bisogno solo dell'uomo".
[Jüri Järvet a Donatas Banionis]
Un futuro imprecisato. Lo psicologo Kris Kelvin (Donatas Banionis) è in procinto di partire per una delicata missione: deve raggiungere la stazione spaziale in orbita attorno al pianeta Solaris. "È stabilito che l'Oceano di Solaris rappresenti una sorta di cervello. In seguito è stata enunciata una teoria molto audace, secondo la quale l'Oceano sarebbe una sostanza pensante. Sono già molti anni che questa ipotesi non trova conferma. Nelle file dei sostenitori sono rimasti in pochi, a partire da coloro che sono legati al destino della stazione. Di 85 persone, sono rimasti a lavorarci solo in 3: l'astrobiologo Sartorius, il cibernetico Snaut e il fisiologo Gibarian". Kris riceve, nella casa di campagna di suo padre, dove si è rifiugiato alla vigilia del decollo per salutare il genitore e prepararsi al lungo viaggio, la visita dell'astronauta Henri Berton (Vladislav Dvoržeckij), giunto ad avvertirlo dei pericoli della missione: anni prima, infatti, fu proprio Berton a testimoniare e descrivere alla Commissione Spaziale le misteriose apparizioni umane a cui aveva assistito su Solaris, ma, senza il suffragio di alcuna prova a dimostrare la veridicità delle sue affermazioni, venne ritenuto vittima di allucinazioni. Kris gli espone chiaramente le proprie intenzioni:
"Ho la sensazione che la solaristica sia entrata in un vicolo cieco per colpa di irresponsabili fantasie. A me interessa la verità, mentre lei vorrebbe fare di me un alleato. Io non posso lasciarmi guidare dai sentimenti, non sono un poeta, ho uno scopo: interrompere le ricerche e togliere dall'orbita la stazione, riconoscendo la crisi della solaristica. Oppure ricorrere a rimedi estremi, come agire sull'Oceano con una forte radiazione".
"No!".
"Ma se sosteneva qualunque mezzo pur di continuare le ricerche!".
"Vorrebbe distruggere quel che ancora non siamo in grado di comprendere? Non sono un sostenitore della conoscenza a qualunque costo. La conoscenza è autentica solo quando è sostenuta dalla morale".
"È l'uomo a rendere immorale la scienza. Ricordi Hiroshima...".
"E allora non rendete immorale la scienza!".
La dacia del padre di Kris si rivela inizialmente una cornice solare e lussureggiante nell'evocare la quiete e la purezza primordiale della natura (i cui poetici suoni riecheggiano nell'aria mescolandosi alle grida gioiose dei bambini che giocano nel prato), nonostante in alcuni momenti un sottile e premonitore velo d'inquietudine ne adombri la limpidezza (l'improvviso temporale, il cavallo nel garage, i misteri della missione di Kris emersi dalle conversazioni). Già a partire da questo fondamentale prologo (oltre 40 minuti), sciaguratamente sforbiciato dalla versione italiana, la fotografia, magnifica, di Vadim Jusov immerge le atmosfere del racconto, tra bianco e nero ed iperrealistiche esplosioni di colori, in un suggestivo limbo cromatico, "cinetico" controcanto visivo all'opprimente, evocativa e straniante "staticità" dei silenzi che le avvolgono ed ammantano di solennità, ulteriormente contrappuntate dagli spettrali tappeti elettronici stesi dalla meravigliosa colonna sonora di Eduard Artemjev (più un estratto dal Corale di Bach Ich ruf' zu dir, Herr Jesu Christ, main theme del film), di magica affinità musicale con le ipnotiche (e contemporanee) cavalcate dei "corrieri cosmici" del krautrock. Giunto sulla stazione orbitante, che si apre davanti ai suoi occhi in uno stato di quasi completo abbandono, Kris apprende che anche Gibarian (Sos Sargsyan) è morto: gli altri due membri dell'equipaggio, Sartorius (Anatolij Solonitsyn) e Snaut (Jüri Järvet), lo accolgono evasivamente, visibilmente turbati da eventi misteriosi di cui, lo avvertono, ben presto si renderà conto anche lui. E, infatti, dopo alcune inspiegabili apparizioni, Kris si trova di fronte sua moglie Hari (Natal'ja Bondarchuk, figlia del regista Sergej), morta suicida alcuni anni prima. Nello spazio, stilisticamente, le atmosfere diventano ancor più rarefatte, la componente onirica della vicenda libera sinuosamente i suoi tentacoli imprigionando lo sguardo tra i fantasmi della coscienza umana: sogni, ricordi, cristallizzati in immagini (ir)reali, per questo fantastiche, che si materializzano per confondere, per allontanare dalla realtà, per attentare alla sanità delle coscienze annullando l'impossibilità di ogni desiderio. Il fantasma della moglie di Kris è tangibile come può esserlo una manifestazione dell'(ir)realtà. Sta in questo (contro)senso l'ossimoro "fantastico" con cui Tarkovskij si interroga sul peso specifico delle immagini, sulla loro universale intelligibilità a prescindere dalla fonte di produzione che le ha originate. Kris sa che sua moglie non esiste perchè è morta, ma sa anche che si trova veramente lì davanti a lui. Gli spiega Snaut:
"Quella che hai visto è la materializzazione dell'immagine che hai di lei... Tutto è cominciato dopo l'esperimento con i raggi: abbiamo agito sulla superficie dell'Oceano con un potente fascio di raggi Roentgen. Comunque sei stato fortunato, in fondo quella donna è parte di te, del tuo passato. Pensa se invece ti fosse apparso qualcuno che non avevi mai conosciuto ma solo immaginato".
"Che cosa vuoi dire?".
"Evidentemente l'Oceano ha sondato i nostri cervelli e ne ha estratto qualcosa di simile a delle isole della memoria".
La fonte di produzione di quelle immagini è insondabile, il misterioso Oceano inconoscibile, il baratro della follia pronto ad accogliere chiunque (mente e scienza) non si abbandoni alla nuova (ir)realtà. Ma alle immagini manca la coscienza di sè, arrendervisi è l'estatico riflesso della mente umana che si rispecchia su se stessa. Per questo Hari interroga Kris con le sue domande:
"È strano... Io non so, non ricordo niente di me. Se chiudo gli occhi non riesco neanche a ricordare la mia faccia. E tu?".
"Io che?".
"Ti conosci?".
"Come ogni essere umano".
Questo è l'inconoscibile tormento di Hari, elegia della riproducibilità delle immagini ma, allo stesso tempo, loro eterna dannazione faustiana. Come sottolinea Sartorius a Kris:
"A differenza di noi, che siamo fatti di atomi, loro sono fatti di neutrini".
"Ma noi sappiamo che i conglomerati di neutrini non sono stabili".
"Sono stabilizzati dal campo magnetico di Solaris. Abbiamo qui un magnifico esemplare...".
"È mia moglie!".
"Sono contento, splendido... Allora fai le analisi del sangue a tua moglie".
"E perchè?".
"Servirà a riportarti alla realtà". Poi, dopo il prelievo, l'amaro riscontro di Kris:
"Ho bruciato il sangue con l'acido, ma si è rigenerato".
"Rigenerazione? L'immortalità, il dilemma di Faust...".
Metafisica delle immagini, quindi, tradotta nella suggestiva cornice fantascientifica fornita dal romanzo ispiratore di Solaris, ovvero l'omonimo capolavoro (1961) del polacco Stanislaw Lem (che non si dichiarò soddisfatto del risultato), adattato dallo stesso Tarkovskij (al suo terzo lungometraggio) insieme a Fridrikh Gorenštejn: "Questo non è soltanto un romanzo sullo scontro tra la ragione umana e l'Inconoscibile", dichiara il regista, "ma anche sui conflitti morali innescati dalle nuove scoperte scientifiche. Parla di quella nuova moralità emersa dalle dolorose esperienze che abbiamo ribattezzato "il prezzo del progresso". Per Kelvin quel prezzo significa fronteggiare direttamente i rimorsi della propria coscienza in un forma materiale. Kelvin non modifica i principi della propria condotta, rimane se stesso; ciò sarà fonte, per lui, di un tragico dilemma".
Dilemma che, per Kris, si manifesterà molto presto. L'illusoria aspirazione di Hari, infatti, è quella di essere umana:
"Io sono voi, sono la vostra coscienza. Kris mi ama, o forse non mi ama, semplicemente mi difende da se stesso". Ma per Hari questa soglia, delimitata ed alimentata dalla melma schiumante dell'Oceano di Solaris (lo specchio...), non potrà mai essere varcata. Kris, allora, sceglie l'illusione: Hari può esistere solo su Solaris e lui, per questo motivo, decide di non tornare più sulla Terra e restare con lei. Si sfoga con Snaut:
"Provando pena ci svuotiamo. Forse è così... La sofferenza dà alla vita un'aria cupa e sospetta. Ma non so... No, non lo so... Quel che non è indispensabile alla nostra vita le nuoce? Non le nuoce, certo che non le nuoce... Ricordi le pene di Tolstoj per l'impossibilità di amare l'umanità in generale? Quanto tempo è passato da allora?". È il dilemma di Kris: che dorme, sogna sua madre, ma al risveglio non trova più Hari accanto a lui. Gli ha lasciato una lettera:
"Kris, è stato terribile essere stata costretta ad ingannarti, ma non potevo fare diversamente. È la cosa migliore per tutti e due. Sono stata io stessa a chiederglielo, non dare la colpa a nessuno": in "un lampo di luce ed un soffio d'aria", infatti, Hari ha liberato Kris, che ora non può che ripartire per la Terra. Saluta Snaut:
"Una domanda vuol dire sempre desiderio di conoscere e per conservare le semplici verità umane ci vogliono i misteri: il mistero della felicità, della morte, dell'amore. Pensare a questo è come conoscere il giorno della propria morte. L'impossibilità di conoscere questa data ci rende praticamente immortali". Torna a casa, in quella stessa natura che l'aveva salutato prima della partenza per Solaris e che ora lo accoglie con sinistro, raggelante grigiore. Capolavoro assoluto, ipnotico, malinconico ed angosciante, premiato a Cannes con il Grand Prix speciale della Giuria.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta