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Solaris

Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film

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Utente rimosso (signor joshua)

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La recensione su Solaris

di Utente rimosso (signor joshua)
10 stelle

Kelvin si china, osserva uno specchio d'acqua, ritagliato in mezzo ad un prato, vicino ad una casa di campagna, si guarda intorno, e si rialza, vedendo arrivare una macchina. Già dopo questi primi, semplicissimi, momenti, si capisce che che stiamo per trovarci proiettati in un'altra dimensione di cinema: tempi dilatati, movimenti leggeri, volti scuri di personaggi altrettanto tenebrosi, ed una componente ambientale... viva, con colori accesi, ed un posto fondamentale nella scena, per sottolineare i movimenti di tutti coloro che vi si muovono all'interno. E dopo una prima mezzora di intrigo (con l'affascinante racconto onirico, del dottor Berton), di dialogo e di mistero, non senza una certa linearità del racconto (non tralasciando la dilatazione di ogni sequenza, prima fra tutte, quella che riguarda il viaggio in macchina di Berton), ecco che ci si ritrova altrove, e non solo perché Kelvin lascia la Terra, ma anche (e soprattutto) perché noi stessi la lasciamo con lui, o almeno all'apparenza. Tarkovskij tesse una ragnatela fitta e gigantesca, scegliendo la strada più complicata per parlare di un argomento ovvio, ma indecifrabile: l'uomo e l'universo. Perché è probabile che le due cose combacino, o comunque, abbiano molte analogie: l'uomo ha forse una vita limitata, anche se ciò riguarda solo la parte che conosciamo fino ad ora, o che crediamo di conoscere e non la realtà effettiva, mentre tutto quello che riguarda la sua lungimirante ed illimitata coscienza, non è racchiudibile in un numero, così come l'universo, non è delimitabile. E allora possiamo dire che esiste un universo intero dentro alla mente dell'uomo, che è meravigliosa, ma terribile, cinica, ma ottimista, limitata, ma infinità, ed esiste una coscienza interminabile ed incorruttibile nell'universo (e dell'universo) che controlla ogni cosa vi esista al suo interno, tranne la medesima dell'uomo, oppure anche quella, o può pure essere l'opposto (la mente dell'uomo che controlla la coscienza dell'universo), o anche, e più probabilmente, un controllo reciproco. L'universo è la droga dell'uomo, e l'uomo è la creatura imperfettamente straordinaria, che il cosmo ha creato per potersi decifrare; ma a volte accade che possano avvenire eccessi di input (ma anche di output) tra i fili sottilissimi che controllano il legame tra l'uomo e il tutto, che possono portare ad una fuoriuscita del materiale pensante dell'insieme del tessuto (ma anche di ciò che c'è dall'altra parte del tessuto) spazio-temporale, che si manifesta attraverso una sostanza cerebrale, limitata e fisicamente riconoscibile, gelatinosa e densa. Questo è il caso in cui l'ultima condizione di dipendenza si mostra a noi: l'uomo diventa succube delle allucinazioni che l'universo gli provoca per tentare di rassomigliare alle sue imperfezioni, perché per farlo, egli è costretto a scavare nella coscienza malinconica e contorta delle sue creazioni, portandoli ad una condizione di dolore a cui è impossibile sfuggire; ma allo stesso modo, anche l'universo necessita di avere l'uomo, proprio perché presenta evidenti pecche e difetti, e lo vuole per tentare di imitarlo, perché è curioso, o per dimostrarli che non c'è niente che possa fare per contrastarlo (l'uomo nei confronti dell'universo). Questa è solo una delle migliaia di interpretazioni che possono essere trovate a questo imperdibile viaggio nel para-fanta-psichico all'interno dell'animo umano, alla sua forma primordiale (mostrandolo, per questo, in forma corrotta dalla società e dal mondo “inquinato”), che viene espresso in un racconto lucidamente astratto che sconfina un po' dappertutto, dalle argomentazioni sulla politica Russa e mondiale, alle tensioni derivanti dalla guerra fredda, fino ad arrivare ad uno studio filosofico approfondito sulla natura stessa dell'uomo come forma di vita pensante nello spazio, che cerca un perché in questa sua condizione che lo rende, forse, diverso dagli altri, ed in grado di capire tutto quello che gli si para davanti attraverso le sue sensazioni. A questo punto, il collegamento a 2001:Odissea nello spazio, è quasi ovvio: entrambi hanno in progetto di parlare dell'impossibile, utilizzando la possibilità di superare i nostri limiti terreni, per arrivare a scoprire altri mondi. E forse è proprio qui che sta il collegamento tra mente ed universo: entrambi hanno terre sconfinate da scoprire, che spesso combaciano, e per capire uno, bisogna capire anche l'altro. Sia Tarkovskij che Kubrick, sono riusciti nel loro intento, ma con impostazioni diverse: 2001 era un tripudio di effetti speciali rivoluzionari, che utilizzava la propria componente visiva, per esprimere i suoi concetti; nel secondo, invece, non si vede mai neanche un'astronave, l'azione è compressa in spazi piccolissimi, che creano un ossimoro con la grandezza infinita dei contenuti e degli spazi esterni. Non c'è molto altro da dire, un'opera straordinaria, da vedere obbligatoriamente nella versione originale (quella più lunga), tesissimo, sofferto, triste e ricco fino all'inverosimile, con un finale (con il ritorno a casa immaginario) che è pura poesia per immagini, ed una regia che vive e si evolve con i personaggi del film. Capolavoro.

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