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I sogni muoiono all'alba

Regia di Indro Montanelli, Enrico Gras, Mario Craveri vedi scheda film

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La recensione su I sogni muoiono all'alba

di Baliverna
7 stelle

Per essere l'opera prima e unica di uno che era "solo" un giornalista, direi che non è niente male. Montanelli si improvvisa regista, dunque, e devo dire che riesce ad esserne uno, migliore di altri professionisti.
Benché rappresenti una vicenda tutta rinchiusa in un albergo, la pellicola è ben più di teatro filmato, come si può vedere dallo stile di ripresa e dalla inquadrature (comprese certe molto riuscite di personaggi allo specchio). I dialoghi li trovo ben scritti, con alcune punte notevoli e talune battute folgoranti o ironiche. E' evidente che Montanelli si è divertito a giocare a gherminella con le tendenze e le idee politiche del suo tempo, compresi i corrispettivi personaggi fanatici. Si pensi alle ardite schermaglie verbali tra il giornalista comunista e quello di destra, o alla scena del secondo davanti al ritratto di Stalin. Dice: "Ecco questo mascalzone che ha...", e sembra proprio che lo dica al dittatore sovietico, ma poi aggiunge qualcosa che sposta completamente il discorso su un suo collega. Forse che Montanelli voleva sbeffeggiare Stalin senza poter esserne accusato da nessuno? Questa ironia, comunque, convive bene con il contesto molto drammatico del resto del film.
I personaggi non si può dire che siano molto profondi, ma non li ho trovati didascalici e simbolici, come qualcuno ho affermato. E' vero che rispecchiano le tendenze politiche dell'epoca - come del resto è naturale tra giornalisti di testate diverse - ma posseggono ciascuno la loro umanità. I meglio definti e più interessanti sono quelli di Lea Massari e Renzo Montagnani, ben interpretati dai rispettivi attori. Il secondo ci fa vedere che sapeva essere un interprete consapevole ed espressivo, dote che purtroppo non sempre avrebbe sfruttato nella sua carriera successiva.
Non tutto fila liscio, e qua e là c'è qualche momento di stanca. Tuttavia penso che non possiamo pretendere di più da un giornalista che si improvvisa regista drammatico. Molto bello il finale, poetico e struggente: si vedono le immagini originali della rivolta ungherese del '56, con in sottofondo una bella e triste canzone magiara (purtroppo non specificata nelle didascalie).

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