Regia di Andreas Prochaska vedi scheda film
Negli anni 010, un’ondata anomala ha sconvolto positivamente il genere western. Dall’America sono arrivati prodotti di notevole bellezza estetica, di rigore linguistico e di variazioni accattivanti su temi e figure tipiche del genere. Dall’Europa o da qualche altro angolo del mondo, sono arrivati western quasi anche superiori ai cugini d’oltreoceano, a testimonianza di come la struttura e l’immaginario del western sia adatta a qualsiasi racconto, soprattutto se il protagonista è, in fondo in fondo, l’archetipo duro e puro dell’uomo occidentale moderno.
Anche l’ottimo The Dark Valley, dell’austriaco Andreas Prochaska, che in originale tuona un po’ come Das finstere Tal, si inserisce perfettamente in questa new wave western, il cui film più esemplare, senza essere necessariamente il capofila, è Slow West (John Maclean, 2015). Ancor di più, si inserisce in una tradizione europea, generalmente etichettata euro-western, ma che può ben essere chiamata con il suo nome più tondo, spaghetti-western, dato che le novità e le variazioni sul genere nascono lì. Il neowestern europeo, ma anche americano, fa della risemantizzazione dei codici classici la base teorica e formale della propria variazione tematica.
In The Dark Valley, per esempio, ci troviamo davvero nell’Austria di fine ‘800, ma è a tutti gli effetti un western. La filiazione al genere è anche confermata e voluta dallo stesso regista nel tratteggio del protagonista, lo straniero Greider, americano di madre austriaca, che arriva dal lontano Ovest e ha pure visto gli indiani, generando così stupore e ammirazione tra gli abitanti della valle. Non solo, è proprio il modello narrativo, abbinato all’iconografia, a fare di The Dark Valley un western. Una classica storia di vendetta, uno straniero giunto in paese a raddrizzare i torti, wilderness evocativa e funzionale alla vicenda, duelli, cavalcate, sparatorie e pure scazzottate nel saloon.
Il film di Prochaska va ovviamente oltre a un semplice esercizio di stile. Stiamo parlando di un film austriaco del 2014, un momento storico difficile per l’Europa della crisi e delle prime clamorose migrazioni dalla zona libica verso l’Italia e il resto dell’Unione, per non dire dell’emersione preoccupante dell’estrema destra un po’ in tutto il continente, compresa l’Austria, nonostante il fortunato smacco alle presidenziali dell’aprile 2016. Nella valle oscura del titolo c’è una famiglia, i Brenner (che a due anni di distanza apre un curioso collegamento con il Brennero e le vicende pseudo-xenofobe ad esse collegate), che ha il potere e il controllo sulla piccola comunità montana. In poche parole, sono la legge. Decidono i ritmi della vita, chi vive e chi muore, chi fa una cosa e chi un’altra, ma soprattutto si arrogano il diritto medievale dello ius primae noctis, imponendo alle giovani spose di passare la notte con la famiglia Brenner composta tra l’altro da ben sei uomini, tutti fratelli, più il vecchio padre, il despota, il tiranno del paese, il depositario e il simulacro delle più biette tradizioni legate anche al cristianesimo. Un atto d’accusa non troppo velato all’Austria più chiusa e intransigente, quella xenofoba e cristiana che nasconde il proprio marcio e la propria abiezione dietro la sacralità intoccabile delle tradizioni e della religione.
Nella vecchia Europa c’è anche questo. Il bardo lo chiamerebbe marcio, i cineasti di oggi, attraverso il western, l’horror, il noir, l’erotico, il poliziesco o le classiche e noiose forme della commedia e del dramma borghese, lo chiamano vergogna. L’estetica splatter e irruente, scelta dal regista, non le manda a dire. All’interno di una set decoration quasi favolistica, incastonata in una natura fredda, innevata, glaciale e spersonalizzante, che ricorda in più elementi il nostro Il grande silenzio (1968), uno dei tanti capolavori di Sergio Corbucci, il regista sceglie di inserire vere e proprie esplosioni di sangue. La distruzione insensibile del corpo, in contrasto al martirio del corpo inferto dai Brenner a chi si metteva contro di loro. Il classico vengeance western qui si frammischia con l’etica antireligiosa, il pulp tarantiniano e i rallenty peckinpahniani, raramente riutilizzati così incisivamente.
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