Regia di Andreas Prochaska vedi scheda film
“Oh, sinnerman, where you gonna run to? Si sta avvicinando una tempesta di uomini...”, ovvero: Lektionen in Finsternis by Winchester ‘75 (quasi 1900): der Wanderer über dem BlutMeer.
“Das Finstere Tal” (“La Valle Oscura”) è probabilmente - ad oggi, e forse lo rimarrà per sempre - il film della vita per il suo autore, Andreas Prochaska, regista prolifico soprattutto in ambito televisivo (da questo PdV - e solo da questo - la pellicola - e non è un termine metaforico: il supporto originale è un 35mm - si può accomunare, rispetto al binomio opera omnia-magnum opus, al “Die Wand” di Julian Pölsler e al “1945” di Ferenc Török). La valle oscura, nascosta, innominata, è un relitto glaciale che, degenere, invera alle soglie del XX secolo quel che persino nei secoli bui era leggenda, ovvero lo ius primae noctis (♦), qui praticato dagli avi della schiatta di Jörg Haider, la cui corsa politica s’è poi definitivamente fermata sulla Pedemontana (o giù di lì, o mi sto confondendo, forse, con qualcun altro...) ad inizio III millennio (e un biforcato rivolo di nevi perenni in discioglimento collega - per ragioni diverse: da una parte per via di una cosmopolita tendenza dell’essere umano ad essere belva per il suo prossimo, e dall’altra per österreiche eredità - questo avamposto di oscurantismo e barbarie al buon “BrimStone” di Martin Koolhoven e al capolavoro “A Hidden Life” di Terrence Malick, entrambi di poco successivi). In quello spazio-tempo disancorato dagli “illuminati” regni mitteleuropei (a trattare di quelli proletari e balcanici ci pensò tre lustri prima il Milcho Manchevski di "Dust") giunge in sella ad un cavallo e tenendone per le redini un secondo atto a trasportare l’attrezzatura fotografica (i correlati e caspardavidfriedrichiani scatti paesaggistici servirebbero oggi per controllare lo stato di disavanzo dei ghiacciai alpini), superando il corbucciano Grande Silenzio autunnale di alti passi e desolati valici di montagna e strette gole scavate da gorgoglianti torrenti a picco sull’orizzonte di uno spicchio segreto della corona alpina, un cowboy (“Shane Shane!”, riecchegga una eco stevens-laddiana, che disegna, stemperata, la figura di un cavaliere meno mitica, archetipica, leggendaria e “astratta”), un eastwoodiano Straniero... con un Nome: Greider, venuto ad esportare - a suon di colpi semi-automatici di Winchester (il lavoro può essere considerato - con le debite, contestualizzanti proporzioni - un capitolo apocrifo al seminale/capitale film di Anthony Mann del 1950) - un po’ di democrazia, e - collateralmente, o viceversa… - a compiere vendetta.
Sceneggiatura del regista e di Martin Ambrosch basata sull’omonimo romanzo d’esordio del 2010 di Thomas Willmann.
Il bel cast comprende Sam Riley (l’anonimo - è una “qualità” neutra, non negativa né positiva -, ma non monolitico, protagonista; "Control", "Franklyn", "On the Road", "Byzantium", "Free Fire", "Radioactive", "Rebecca"), Tobias Moretti [il principale antagonista, Hans, il primogenito - di 6 fratelli - del vecchio patriarca Brenner - interpretato da Hans-Michael Rehberg (1938-2017, Rudolf Höss in “Schindler’s List” e una piccola parte nel già citato “Die Wand”) -, il “podestà” del villaggio; una piccola parte nel già citato “A Hidden Life”], Paula Beer (Luzi, la sposa portatrice di illibatezza prenotata; “Frantz” di Ozon e “Undine” di Petzold) e Thomas Schubert (Lukas, lo sposo pre-dotato di palco di corna).
Fotografia: Thomas W. Kiennast. Montaggio: Daniel Prochaska. Musiche: Matthias Weber; e tre bei pezzi (non) originali: una più che discreta e ben utilizzata - con sprezzo del ridicolo veicolato attraverso una contro-retorica del rallentatore - “How Dare You” degli Streaming Satellites, e due versioni di “SinnerMan”, il traditional portato all’eternità da Nina Simone, una di Clara Luzia sui titoli di testa e l’altra di One Two Three Cheers And A Tiger (gruppo per cui il montatore, probabilmente connesso tramite legami di parentela col regista, ha diretto numerosi videoclip) feat. Lana Sharp sui titoli di coda (rullo lungo il quale si svolge anche una lunga, impressionante, splendida teoria di volti & corpi e abiti & impieghi traslati attraverso un’impersonificazione contemporanea dall’eterno catalogo augustsanderiano all’oggi).
Produzione austro-tedesca (e italiana).
Ché poi, Sinnerman/Cinema, han quasi una stessa, vaga assonanza…
* * * ½ (¾)
Film presente di diritto nella playlist che ho dedicata al Western postmoderno e contemporaneo.
♦ Straordinaria risorsa per romanzieri e sceneggiatori a corto di idee, lo ius primae noctis ha un ruolo importante nei più famosi romanzi di ambientazione medievale, da Follett a Falcones, e in film come Braveheart. Nessuno, a quanto pare, trova assurdo che in quella società profondamente cristiana, in cui la Chiesa stava avviando un colossale progetto di disciplina dei comportamenti e della vita familiare, i signori potessero prendere la verginità delle giovani spose, e non come una violenza, ma come un diritto a cui bisognava inchinarsi. Ma davvero i nostri antenati del Medioevo si adattavano a subire un abuso così umiliante? E se è così, perché gli innumerevoli documenti di quell’epoca – memoriali di avvocati, atti processuali, carte di franchigia, ma anche romanzi – che ci descrivono minuziosamente le rivendicazioni dei contadini contro i loro signori non parlano mai dello ius primae noctis?
https://www.festivaldellamente.it/it/2291-Medioevodanoncredere-Loiusprimaenoctis/
“Oh, sinnerman, where you gonna run to? Si sta avvicinando una tempesta di uomini...”, ovvero: Lektionen in Finsternis by Winchester ‘75 (quasi 1900): der Wanderer über dem BlutMeer.
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