Regia di Robert Guédiguian vedi scheda film
“Da una fantasia di Robert Guediguian” precisa (ma sembra in effetti più un avvertimento, una precauzione se non una giustificazione di quanto avverrà in seguito) la produzione immediatamente dopo il titolo di inizio: quasi un avvertimento che serva a fine pellicola a toglierci di dosso quella sensazione di imbarazzo che ci ha preso ogni qual volta la brillante e fantasiosa vicenda tocchi i limiti più fastidiosi del compiacimento e del caramelloso (e qui ahimé succede abbastanza spesso).
Peccato perché in realtà tutto parrebbe perfetto nell’ambito delle caratteristiche, paesaggistiche ed umane, del percorso cinematografico singolare, accattivante, ma anche impegnato e di denuncia, del tenace regista marsigliese Guediguian, il Ken Loach francese, quello degli operai, dei pescatori e più in generale delle classi più popolari.
Impossibile pensare di non far convergere tutte le vicissitudini di un sogno lungo una mattina come tante, tramite il corpo piccino ma tenace e la mente aperta e generosa della sua attrice-feticcio Ariane Ascaride: qui il regista ci presenta la sua eroina intenta a predisporre ogni minimo particolare, tra torte e altri manicaretti, appropriati per festeggiare il suo compleanno: un traguardo importante questa volta: il mezzo secolo di vita, età di bilanci, e pure quella in cui la sua celebre madre cabarettista e cantante lascio il mondo terreno per una serenità da fruire altrove.
Dopo le prime avvisaglie degli ospiti che la omaggiano con fiori ed auguri, ma nel contempo declinano all’ultimo momento l’invito per altri impegni presunti o comunque vaghi ma irrinunciabili, sola nel suo grazioso appartamento, amareggiata ma non vinta, Ariane decide di uscire e, salita in macchina, si addentra verso un nuovo mondo fatto di bizzarre umanità semplici ma caratterialmente molto vivaci e variegate: un mondo schietto e sfacciatamente sincero, fatto di ristoratori canterini, immigrati nostalgici, cameriere ribelli, fidanzate procaci e prostitute, giovani amanti gelosi e irascibili: un sottobosco urbano afflitto da difficoltà e contrasti, spesso cieco alle sofferenze e difficoltà altrui in quanto troppo intento ed esclusivamente occupato a risolversi gli affanni che l’assillano personalmente. In questo contesto, dominato da una visione egoistica e approfittatrice della vita e delle evenienze, la figura di Ariane si erge a paladina messianica intenta alla sconfitta delle ingiustizie e delle prevaricazioni. Ottima come sempre la Ascaride, così come gli abituali ed immancabili Jean-PierreDarroussin, Jacques Boudet, Gérard Meylan, mentre al gruppo si aggiungono volti piacevoli, nuovi o già della famiglia Guédiguian come Anais Demoustier, Adrien Jolivet, la procace e formosa Lola Naymark: belli e accattivanti, sensuali e carnali di una giovinezza prepotente quanto effimera, che li rende fieri ed egoisti, bisognosi della "cura" della messianica Ariane.
Peccato che la storiella - esile e fin troppo schiava del prepotentemente bello, impegnativo seppur solare e magico paesaggio della costa marsigliese, selvaggia e battuta dal vento, circondata di spiagge di acciottolato bianche e isole spoglie e dal profilo magico - si faccia opprimere da un buonismo e da un sentimentalismo che smorzano ogni più ottimistico slancio che ci colse nell’incipit iniziale, quando l’avvio alterna il colore e la perfezione della casa di Ariane, alla squadrata linearità dei sobborghi circostanti, ripresi come disegnati dalla mano geometrica di un programma di disegno tecnico.
Una puerilità che davvero non si conviene ad un regista altrimenti lucido ed impegnato (si pensi solo all'ultimo eccezionale, lucido ed impegnato pur nella sua lievità "Le nevi del Kilimangiaro") non solo nelle scaramucce di famiglia, ma in ben più concreti problemi civici ed umani di questa nostra combattuta società. Resta lo stile leggero e delicato, l'ambientazione suggestiva ma realistica, e naturalmente il valido cast; ma stavolta l'alchimia proprio non funziona e si trascina tra macchiette bidimensionali e zucchero filato che rimane indigesto anche ai palati più avvezzi a dolciumi e romanticherie.
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