Regia di Shlomi Elkabetz, Ronit Elkabetz vedi scheda film
Il problema della laicità del diritto, ma anche quello dello squilibrio nel rapporto tra i sessi, che ci tocca più da vicino di quanto l'ambientazione mediorientale non lasci intendere, raccontato attraverso la lotta di una moglie contro una norma del diritto israeliano che vincola la concessione del divorzio alla volontà del marito.
Si comincia con l'ossessione formale che sempre caratterizza l'imposizione dogmatica: assurde capziosità impediscono di entrare nel merito della causa, costruendo con il cemento armato dell'ortodossia religiosa un labirinto che nel nostro immaginario si collega automaticamente con quello edificato dalla burocrazia negli incubi di Kafka.
All'immutabilità della situazione corrisponde una messa in scena rigorosa, che non abbandona mai gli angusti locali del tribunale rabbinico: la camera fissa ostinata come l'inamovibile marito Elijah, lo svelamento dei personaggi ritardato rispetto alla loro intervento sulla scena, le inquadrature centellinate come se l'acquisizione di ogni nuovo punto di vista fosse una faticosa conquista.
Improvvisamente la carrellata dei testimoni amplia poi la tavolozza e allarga lo sguardo su quello che una volta si sarebbe definito spaccato sociale. Dal florilegio di tipi umani e dal ventaglio di contraddizioni nel quale si frammenta la supposta realtà cominciano invece ad affiorare contemporaneità e universalità della materia, mentre il ritmo degli stacchi aumenta, spuntano momenti comici e qualche tocco da commedia raffinata che sfuma ulteriormente i connotati dei personaggi.
Definiti il contesto istituzionale e quello sociale, l'obiettivo torna sugli attori principali della causa, che mostrano le viscere. Umanità e sensibilità, le sole doti che permettono di intuire, più che dimostrare, la fine di un amore (forse mai nato), ora emanano un calore che aggredisce la gelida smania di categorizazione indotta dalle norme, ma non riesce a scioglierla del tutto. Il coinvolgimento personale di ciascuno sembra non lasciare altra scelta che quella di utilizzare come unico strumento di indagine la relazione, escludendo l'oggettività, che dovrebbe essere appannaggio della Legge, invece pervicacemente ottusa.
Un altro passo e si arriva alla sostanza, che all'inizio pareva così remota. Lo stile privo di orpelli costringe all'empatia e raggiunge l'essenza, l'assoluto, attraverso il primo piano puro e il dettaglio metaforico. Restano l'Uomo e la Donna. La prevaricazione e il bisogno di possesso dell'uno sull'altra sembrano terribilmente preesistere, come una malattia genetica, alla stessa barbarie formale che li ha legittimati.
Anche se, poco prima che Viviane conosca il prezzo richiestole per l'esercizio di un diritto, il mondo esterno, che quindi fuori dal Palazzo della Legge esiste ancora, per un attimo si mostra, seppur velato da una coltre di tende, a Ronit Elkabetz, intensa interprete, cosceneggiatrice e coregista.
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