Liberaci dal male. Potrebbe essere questala frase più sintetica per riassumere il tema più urgente del cinema di Mike Cahill. autore di nicchia assurto al successo con una di quelle opere a basso budget di cui ogni tanto ci si stupisce per la capacità di fare tanto con molto poco. Stiamo parlando di cinema realizzato con pochi spiccioli e molte idee e comunque capace di ritagliarsi uno spazio adeguato nel panorama del cinema mondiale. "Another Earth" infatti pur lambendo la fantascienza con una trama che immaginando la possibile esistenza di una "controterra", vero e proprio doppione di quella già esistente , esplorava il dolore della perdita e del senso di colpa, spogliando il concetto di esistenza dai vincoli dell'esperienzae della ragione. In quel caso la protagonista cercava di venire a patti con il rimorso di aver provocato la morte della moglie e del figlio di un famoso compositore musicale. "I. Origins" continua a percorrere la strada già tracciata del film che lo ha preceduto attraverso la dicotomia tra scienza e fede, che Ian, un ricercatore medico specializzato nello studio degli occhi, cerca di confermare sforzandosi di trovare una spiegazione scientifica all'incognito che normalmente appartiene al sacro e allo spirituale. Anche in questo caso c'è di mezzo un'amore spezzato e l'inaccettabilità della morte, come pure la predominza del caso, qui come allora ingrediente principale per scatenare il cortocircuito che annulla certezze e rimette tutto in discussione.
Homo Faber del set cinematografico per la poliedrica applicazione del proprio talento (dalla sceneggiatura alla fotografia fino agli effetti speciali) Cahill si addentra nel territorio del dubbio tornandone con risposte quasi definitive - "I, Origins" parte dalla teoria sull'origine della specie per arrivare a parlare di metempsicosi e di vite precedenti) - sulle verità della vita. Se il confronto tra i massimi sistemi ricalca schemi e situazioni già viste, e se in alcuni passaggi la narrazione fatica a costruire situazioni che siamo all'altezza dei suoi contenuti, è pur vero che Cahill comferma la capacità di scrutare tra i silenzi e i non detti di cui gli attori si fanno carico. Visione affascinante di espression e volti ripresi con la partecipazione di chi ne condivide il sentire. E se Brit marling è un habituè del regista (era lei la protagonista di "Another Earth"), non dispiace Michael Pitt alle prese con un ruolo -insolitamente per lui - equilibrato.
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