Regia di William Eubank vedi scheda film
Non immediato, ma aperto a svariate interpretazioni, piuttosto che serrato in un ottuso microcosmo.
The Signal non mi ha convinto subito: ci è voluto un po'. Ero talmente preso dalla componente fantascientifica da non rendermi conto che stavo vedendo un racconto di formazione che affronta il dramma della perdita, il tunnel dell'età dell'oro, i poli opposti del lasciarsi andare e del lasciar andare. L'analogia con il testo sci-fi non è collimante: sembra piuttosto di leggere un canovaccio intessuto di altre aspirazioni narrative. In questo, il personaggio di Nic è ben profilato: trincerato nel silenzio sul futuro della sua relazione con Haley, ci dà un taglio, ma tracciandosi un percorso autodistruttivo su tutti i fronti. E' lo stesso nichilismo, non il coraggio, a metterlo sulle tracce di Nomad. Presto imparerà cosa vuol dire essere "pieno di vuoto", come dice Jonah, e cosa vuol dire essere umani: tirare a galla un peso insormontabile (la ragazza), accettare l'aiuto, sfidare il destino e distruggerne la barriera. In parallelo ai momenti di maggiore tensione scorriamo il montaggio della sua memoria, del suo passato. Quello che più mi ha colpito di Eubank è la capacità di non 'sottotitolare' gli snodi drammatici, sovraccaricandoli di dialoghi o monologhi inutili. Data la condizione di Nic, il tutto segue il filo della sopravvivenza. Data il dove si trova e il perchè si trova lì, Nic poteva essere, in un altro film, imbottito di spiegazioni e tirate sui massimi sistemi. Invece no. Il suo sviluppo segue un segnale striminzito, ma duro a morire. Il colpo di scena finale pertiene al fantastico, per cui una soluzione sola non è data. E QUESTA, per me, è la stessa ambiguità de Il pianeta delle scimmie, opera nella quale, come qui, si va a fondo dell'animo umano mettendolo a dura prova.
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