Regia di Eskil Vogt vedi scheda film
Ingrid, una bravissima e bellissima Ellen Dorrit Petersen, è una donna di mezza età, sposata, che all'improvviso perde la vista, per una malattia. L'esordio del norvegese Vogt s'impernia sulla figura di questa donna, chiusa in una casa luminosa, da cui, ancora, non riesce ad uscire, e focalizza un tipo di Cinema sensibile, toccato dalla Grazia, più che sull'esterno, sui problemi pratici dell'handicap, comunque non secondari, sull'improvvisa, pesante solitudine che chiude alla protagonista il mondo che era solita frequentare. Un viaggio esistenziale, come dicevo, di spiccata sensibilità, che vede la donna, nelle sue lunghe giornate solitarie, immaginare personaggi che, come in un romanzo, vivono quell'esistenza che lei stessa si preclude: si scandaglia la sessualità che cambia, con grande e sublime tatto, la difficoltà di far parte di una minoranza disagiata e i rapporti umani tout court, ovviamente scossi e dilaniati da una simile deflagrazione della vita. Ma tutto rimane nella testa e nel corpo di Ingrid, fra le pareti di casa e anche le sue proiezioni letterarie sono figure solitarie che si sfiorano soltanto, che sbandano e perdono, a seconda dei suoi umori e della sua malinconia. Un'opera affascinante e molto bella, che come sempre quando si parla di cinema nordico, pare glaciale ma che in realtà pulsa di umanità dalla prima all'ultima inquadratura. Davvero un film magico e molto riuscito, con attori, al solito, perfetti.
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