Regia di Alejandro Fernández Almendras vedi scheda film
La brutalità e l'ingiustizia che trasformano l'agnello in lupo.
La cattiveria e la malvagità gratuite e ingiustificate che spingono anche noi, spettatori terzi, pubblico distante che giudica come fossimo una giuria al di sopra delle parti, e nonostante questo impossibilitati a non comprendere le ragioni sacrosante di una vendetta che diviene necessaria, soprattutto quando la legge fallisce e si schiera, incoscientemente e stoltamente, dalla parte del colpevole infliggendogli pene ridicole rispetto al delitto commesso.
A quel punto farsi giustizia da sé diventa una necessità anche per la mite guardia forestale Jorge. L'uomo viene aggredito mentre rientra a casa con la torta di compleanno per i diciott'anni del figlio maggiore. Non oppone nemmeno molta resistenza agli aggressori, vandali e grossolani: li prega solo, ma inutilmente, di restituirgli l'apparecchio con cui si inietta insulina per scongiurare gli effetti letali di una diabete in stato avanzato e cronico. Lascerebbe correre comunque, non fosse che il figlio, punto dall'orgoglio, reagisce e viene quasi ammazzato dallo stesso boss che ha rapinato il padre. Inscenando una legittima difesa all'ultimo momento, l'uomo si ferisce da solo per dimostrare di aver risposto al fuoco di un'aggressione inesistente e al processo gli viene inflitta una pena minima che lo vede libero dopo poco tempo: troppo poco per impedirgli di non tramare la propria vendetta, questa volta diretta alla figlia più piccola della sua prima vittima.
A quel momento le ragioni del perdono e della tolleranza finiscono anche per l'uomo più mite del mondo. La vendetta sarà definitiva. Ma siccome Jorge è un brav'uomo, il senso di soddisfazione e di rivalsa per lui durerà pochissimo. La lucidità e la razionalità infatti torneranno prestissimo nell'uomo, che non esiterà a consegnarsi alla giustizia.
Veloce, schietto, lucido, ma diretto con una grande perizia, che permette al regista cileno notevole e dallo stile asciutto ma personale, Alejandro Fernandez Almendras, qui al suo secondo lungometraggio, aperture sontuose come quella veduta boschiva iniziale, a metà strada tra i paradisiaco ed il malefico, per l'intravedersi tra la luce accecante in sottofondo di passi furtivi e anime sinistre in lontananza, Tuer un homme - questo il titolo del film appena uscito nelle sale francesi - è una riuscita, amarissima e lucida riflessione sull'inutilità del perdono, e della proverbiale predisposizione a porgere l'altra guancia, atto di carità eroico, ma anche troppo teorico, che la nostra religione occidentale ci comanda o consiglia, ma che qui, nel marcio dello squallore quotidiano, serve solo a soccombere più facilmente per darla vita alla prepotenza e all'arroganza dilaganti.
Un "cane di paglia" cileno che punta alla semplicità della narrazione per esaltare la schiettezza quasi epica della volontà di rendere giustizia alle persone che si amano veramente: con tutta la forza che si possiede, dato che bisogna difendere le sole cose, i soli valori ed affetti per cui merita continuare a vivere.
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