Regia di Michael Mann vedi scheda film
Mann è uno dei maestri, a Hollywood, dei noir, degli action movies con parecchio cervello, ampiamente sopra la media del genere. E' però dai tempi di "Collateral", 2004, che non indovina il capolavoro e, purtroppo, "Blackhat" non cambia il trend. Il regista americano conosce a menadito tutti i trucchi del mestiere, la sua mano sulla regia e sulle immagini, potenti, rapide, moderne, c'è tutta, ma il problema di questo film è la non facile fruibilità dell'argomento trattato. Per cercare di seguire i fili elettronici che muovono le pedine di questo thriller, serve una laurea in perito informatico, altrimenti verrete sepolti, letteralmente, da termini e situazioni quasi del tutto incomprensibili e, in automatico, poco interessanti. Chiaro che poi, Mann, smorza il tutto infilando qualche bella scena d'azione come lui sa fare, ma il comprenderne il motivo, dietro questi giochi di tastiera, codici, virus e virtualità, è alquanto difficile. Sbaglia nettamente, a mio modo di vedere, con l'attore protagonista, un granitico pupazzo di nome Chris Hemsworth, che non buca lo schermo nemmeno usando un martello pneumatico, e con un'artificiosa storia d'amore interrazziale, cino-americana, che non serve a nessuno. Tutta inutile carne al fuoco. Rimane la bella regia, e ci mancherebbe, ma è troppo poco per salvare un film gelido come pochi altri, stupidamente complicato e che, giustamente, non ha riscosso successo al botteghino. Forse i propositi erano più alti, forse fra una decina d'anni verrà rivalutato, ma per quello che è oggi, rimane un lavoro troppo azzardato. Peccato.
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