Regia di Michael Mann vedi scheda film
Con Blackhat Michael Mann si conferma, senza che mai ne avessimo iniziato a dubitarne, la quintessenza della potenza espressiva, della direzione che va oltre la narrazione e si impone per stile, dinamismo e padronanza di ripresa.
I personaggi, le storie, l'impostazione narrativa assumono, nel cinema eccelso del grande regista di Chicago, una fisionomia classica dove un brillante protagonista mai del tutto limpido o sincero, ma in fondo onesto e pentito, si fa carico di sbrogliare una matassa apparentemente inestricabile di eventi e costruzioni che una mente diabolica e tendenziosa ha maliziosamente creato per fini abietti od oscuri.
L'importanza e la perfezione dell'impronta registica che la direzione del grande regista riesce a costruire, finisce tuttavia sempre, senza eccezione alcuna (il suo limpido esemplare curriculum continua a confermarcelo), a rendere una vicenda di stampo sin smaccatamente tradizionale, ovvero la lotta fino alla resa dei conti tra due contendenti - bene imperfetto, ma limpido e male assoluto, ma in fondo meno impenetrabile di quanto possa apparire – come il più sorprendente duello tra due opposte e tormentate visioni e teorie di un sopravvivere con scaltrezza ad una vita e ad un pianeta che si riescono a domare solo con la furbizia quando va bene, o con la malvagità quando le cose si mettono al peggio.
Nella sua ultima fatica, Mann ci introduce nel mondo degli hacker, i pirati informatici: ma quelli cattivi, quelli che fanno sul serio, boicottando e mettendo a repentaglio la sicurezza a livello mondiale con interventi od azioni criminose che sfociano nell'azione criminosa più efferata e sanguinosa fino all'attentato terroristico.
Quando un segretissimo codice informatico viene maldestramente decifrato e usato in modo fraudolento, i servizi segreti statunitensi e cinesi decidono di scarcerare un abile pirata informatico di nome Nick (il semi-di(v)o biondo e fisicato Chris Hemsworth) affinché li aiuti a mettersi sulle tracce della potente organizzazione; che intanto semina panico con attentati e azioni devastanti, tra cui come più eclatante si impone quella dell'esplosione di un reattore nucleare nei pressi di Hong Kong a cui è stata manomesso il processo di raffreddamento; azione eclatante, utile e necessaria a seminare panico e sconcerto sull'opinione pubblica ed i media.
Ben presto Nick e la sua squadra divengono l'unica possibilità di contrastare un commando organizzatissimo e letale, alla base del quale risulta quasi impossibile risalire ad un volto singolo a cui attribuire la paternità e la responsabilità di tutte quegli attentati e stragi. Fino ad arrivare a scoprire che dietro tutto un complicato intrigo di codici informatici si nasconde il più vecchio e scaltro calcolo economico che da sempre consente all'uomo intelligente e assetato di denaro, di dominare quello onesto, misurato, e magari meno portato a certe speculazioni abilmente orchestrate. La chiave di tutto si basa sulla speculazione sul prezzo di un minerale fondamentale come lo stagno e sul mercato azionario sottostante e relativo, strategie che giustificano ogni altra aberrante azione volta alla salvaguardia dell'ingegnoso complotto organizzato a tal fine.
L'azione frenetica, che alterna momenti di stasi dedicati alla decodifica codici ad azioni mirabolanti e sparatorie che da sempre sono il forte e la meraviglia della concezione dell'azione secondo Mann, sposta il nostro protagonista di metropoli in metropoli, dando la possibilità al meraviglioso regista di incantarci con riprese – spesso aeree – che riescono davvero ad emozionarci, nonostante esse siano ormai l'abitudine più diffusa di ripresa di molto cinema d'azione ed americano in particolare.
La fredda angolazione del cemento, che crea ripari e posizioni privilegiate per fronteggiare il nemico in sparatoria, o l'ellissi di un sentiero avvitato di parcheggio su cui si affrontano ed inseguono i proiettili fulminei di due fazioni in guerra tra loro, danno motivo a Mann di riempire le inquadrature di potenza ed energia che, pur scontate nel suo cinema, suscitano sempre ammirazione, meraviglia e contemplazione visiva a cui è impossibile assuefarsi.
Poco importa la meccanicità della costruzione di una storia raccontata in chissà quante altre sfaccettature simili, o la staticità di un'eroe suo malgrado, che diventa da galeotto pericoloso ed infido, a simbolo di speranza ed unico baluardo di salvezza ed onestà di intenti.
Il cinema di Mann ama questi eroi puri che diventano tali in condizioni estreme, spinti dalla necessità e dall'urgenza; il cinema di Mann ama le donne apparentemente deboli o fragili di questi ultimi, meglio se piccole, more ed orientali (la Gong Li di Miami Vice e questa per nulla arrendevole Wei Tang); ama pure gli sguardi potenti ed evocativi su cui concentrare primi piani emozionanti, come quelli sul volto teso ed intenso della meravigliosa Viola Davis; ed ancora e soprattutto ama i cattivi quando lo sono nel modo più estremo, puro e concettuale dell'accezione: quelli che appaiono solo alla fine e sfoderano il meglio della loro perfidia nella resa dei conti finale.
Per meglio rappresentare costoro un cineasta furbo e puerilmente consapevole della propria grandezza sarebbe ricorso al cameo di una star di prima grandezza (sebbene Yorick Van Wageningen non sia affatto uno sconosciuto, anzi!).
Ma a Michael Mann questi giochini non piacciono più e nel suo cinema della concretezza, classicità e potenza visiva, lo spazio ed il tempo vengono più volentieri ed efficacemente dedicati ai grandi spazi, siano essi alveari di case e grattacieli visti dall'alto, siano essi letti prosciugati di fiumi o cave estrattive di minerali pregiati, fonti di speculazioni efferate e diabolicamente efficaci per procurarsi l'onnipotenza terrena.
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