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Blackhat

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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La recensione su Blackhat

di emil
9 stelle

Mann sforna un ennesimo capolavoro

La MDP incornicia a meraviglia una fabbrica nucleare nei pressi di Hong Kong, cogliendone i dettagli, forme e luci, neanche fosse l' opera di un'artista rinascimentale. Solo cemento , fumi e grigio, che il regista di Chicago trasforma in magia. Si apre così l'ultima fatica di Michael Mann, da lui scritta, diretta e pure prodotta. Un ciber attacco  blocca il reattore di raffreddamento dello stabilimento senza apparente motivo. E poi di nuovo, con lo stesso "codice" , un'altro attacco questa volta  prende di mira le azioni del mais, centuplicandone il valore. Chi è il responsabile? Qual'è l'obiettivo di questo "blackhat" (hacker cattivo)? Come fermarlo? Per risolvere l'arcano ed incastrare il colpevole, i servizi speciali dei due paesi coinvolti (Cina e USA) dovranno unire le forze, chiamando in causa nell' indagine Nick Hathaway (Hemsworth), hacker rinchiuso in un penitenziario di massima sicurezza, il solo in grado di mettersi sulle tracce dell'ignoto criminale da tastiera, poichè egli si basa proprio sul codice da lui creato. E così passo dopo passo assistiamo all'indagine del gruppo cosmopolita di poliziotti, che , guidati da Hathaway, si troverranno a rincorrere gli indizi come Pollicino  farebbe con le molliche, da un capo all'altro del mondo, tra tallonamenti e sparatorie, cercando il filo logico che fa da collante. Mann , come in Collateral,  ancora di più in Miami Vice, da fondo a tutto il suo armamentario tenico e visivo; il sensore della camera da una profondità pazzesca a spazi ristretti (come i vicoli di Hong Kong), così come ad ampi panorami (la baia del mare cinese o le pianure desolate vicino Jakarta), immortalando un mondo digitale variopinto al neon, imbrattato di luci artificiali, dove il tempo sembra essersi (dis)perso. Hathaway racchiude lo spirito noir del film,  accettando il rischio di perdere tutto, consapevole che il destino è lì , dietro la porta, pronto a bussare. Ogni inquadratura (sapientemente sfumata al momento giusto) , ogni scena, quasi ogni fotogramma, respira la malinconia ed il senso di inquietudine e sconfitta che ammanta tutto il film, l'aria plumbea ed unticcia d'oriente, che Mann affibbia a tutti suoi personaggi. Un cast discreto, dove si segnalano la buona recitazione  di Viola Davis e Tang Wei,  oltre che la superba prova del mercenario n.1, interpretato da Ritchie Coster, capace di rubare la scena al duo di protagonisti, impegnati come il resto del cast in sguardi e parole più che in azione. Che non è moltissima, ma quella che c'è è fantastica. Dispiace che un film del genere sia stato un flop clamoroso; Mann va preservato e protetto; regista unico, capace di coniugare autorialità  senza annoiare, spingendosi oltre nella sperimentazione di nuove tecniche, in grado di asciugare il mondo intorno a se filtrandolo attraverso lo sguardo sulle cose dei suoi personaggi, eroi disillusi in un mondo impossibile da comprendere. ll più grande regista vivente.

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