Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Davide (Riccardo Scamarcio) è un pubblicitario depresso che cova l'ambizione irrealizzata di diventare scrittore. Quando il padre, un famoso sceneggiatore, muore, la sua fragile personalità subisce un altro duro colpo, e lo porterà a frequenti esplosioni di rabbia e di dolore.
Molto spesso le idee di Pupi Avati trasudano ambizione, ma spesso cotanta ambizione non corrisponde alla capacità del regista di esprimere tutto ciò che evidentemente vorrebbe dire. Questo parrebbe il caso di Un ragazzo d'oro, dove Avati punta in alto, cercando di realizzare un film che tratti temi assai pregnanti, che messi tutti insieme avrebbero dato filo da torcere ad un Ingmar Bergman: il rapporto tra padre e figlio, gli stati di ansia e depressione, il valore dell'arte e le difficoltà di portare avanti un lavoro artistico nella società dello spettacolo, l'incertezza dei rapporti sentimentali, eccetera eccetera. Molta carne al fuoco, troppa, e inevitabilmente Pupi si smarrisce, sfiora tutti gli argomenti superficialmente, senza riuscire ad approfondirne nessuno. Sbagliata anche pare la scelta di Scamarcio nel ruolo del protagonista, nei panni di un personaggio che non rientra nelle sue corde, con una conseguente prova recitativa priva di verve, esitante e discontinua. Poco dettagliati i personaggi di contorno, come l'editrice Ludovica, interpretata niente meno che da un'attempata Sharon Stone. Lo sviluppo conclusivo della storia - che vede Davide chiuso in una casa di cure mentali mentre vince il premio strega con un libro che ha scritto lui ma tutti credono scritto dal padre - appare un tantino inverosimile.
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