Regia di Pupi Avati vedi scheda film
All’ostinato inseguimento dell’incantato realismo poetico che fu suo negli anni 80 di Una gita scolastica, Avati torna sempre sul suo personalissimo viale dei ricordi. Dopo essersi occupato della figura materna in Il cuore grande delle ragazze e dell’albero genealogico intero nella fiction Un matrimonio, punta l’occhio di bue sul padre, stipando suggestioni autobiografiche e prelievi filmografici dal suo cinema anni Duemila in un prodotto più adatto al piccolo schermo. Un genitore fallimentare, con alle spalle una carriera da sceneggiatore di B movie che lo avvicina al protagonista di La cena per farli conoscere.
Un giovane problematico, incrocio tra patologie (Il papà di Giovanna) e freudiani dissidi interiori (Il figlio più piccolo). Una donna matura, che irrompe in scena alla morte del padre e stimola il figlio a riabilitare la memoria del defunto ritrovando (riscrivendo) il suo capolavoro perduto. Il resto sono cadute a ripetizione, tra bigini psicoanalitici, personaggi tagliati con l’accetta (incomprensibile il percorso della Silvia di Cristiana Capotondi), sguardi spocchiosi verso il nostrano cinema bis (inguardabile il regista, di lenziana memoria, che cita Tarantino per legittimare un’intera carriera), compiacenti strizzate d’occhio al premio Strega e un erotismo sempre inibito a tavolino. Avati ritrova l’ispirazione in sequenze di morte, di mancanza, di vuoto. Ma sono attimi che si frantumano quando in scena irrompe una fossilizzata Stone, che rende vano ogni apprezzabile sforzo di Scamarcio.
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