Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film
Fede o follia. Cronaca familiare o film di denuncia. Jude a Mina si contendono il figlioletto di pochi mesi, essendo in totale disaccordo sul modo in cui allevarlo. Lui vorrebbe crescerlo secondo le normali regole, che prevedono un’alimentazione varia e regolari controlli medici, mentre lei, invece, vorrebbe fare da sé, limitando al massimo i contatti del piccolo con il mondo esterno, che considera pericoloso e pieno di impurità. Secondo Mina, il cibo è quasi tutto veleno, a cominciare da quello di origine animale. Sottopone quindi il bambino ad una dieta rigorosamente vegana, causandogli un forte ritardo nello sviluppo. Ma lei pensa vada bene così, che non esistano standard da rispettare, obiettivi da raggiungere, come in una competizione sportiva. Jude, naturalmente, non ci sta, e con la complicità della propria madre cerca in ogni modo di sottrarre il bimbo alla moglie. La vicenda è una di quelle tanto amare quanto squallide, di coppie che si scoprono improvvisamente estranee, e si combattono tirando in mezzo la prole. È una delle solite brutte storie dei giorni nostri, quelle che ben conosciamo, e nelle quali l’incomunicabilità sfocia nella maniacalità, nel radicalismo, nella guerra totale. Saverio Costanzo ce la vuole comunque raccontare tutta, portando lo sguardo all’interno delle pareti domestiche, nell’intimità familiare, dentro gli abbracci d’amore e nel cuore dei segreti, dei sotterfugi, dei silenzi in cui covano il rancore, gli inganni, i progetti di vendetta. La visione è così ravvicinata da apparire a tratti deformata, eccessivamente attaccata agli oggetti da osservare, come per sviscerarne la potenziale mostruosità. Gli ambienti chiusi, si sa, fanno da cassa armonica alle perversioni. Anche qui, ogni difetto caratteriale si esaspera, le convinzioni diventano ottuse questioni di principio, a tal punto che la realtà dei sentimenti rimane fuori dal discorso, come un argomento buono solo a confondere le idee e distogliere dalle strategie da porre in atto. Si litiga sulla distinzione tra il bene e il male, e ognuno resta fermo sulle proprie posizioni. La battaglia non avanza, resta imbrigliata in contese astratte, che si esplicano sul piano concettuale, trascurando completamente la sostanza umana. La passione – innata o acquisita - per una certa visione della vita monopolizza la scena, estromettendone gli individui e i loro legami affettivi. Sembra inverosimile che ci si possa odiare in maniera così impersonale, senza nulla concedere al dolore per un’intesa che si è rotta, per un calore che è scomparso, per una promessa di felicità che è stata tradita. Jude e Mina si confrontano senza cercare un punto di incontro, uno spunto per ricucire lo strappo, per continuare a credere di aver bisogno l’una dell’altro. Si direbbe che a dividerli sia uno scontro puramente politico, in cui nessuno dei due è veramente presente con la propria anima, la propria identità psicologica, i propri desideri. Hungry Hearts è un film duro, al quale, però, manca la tagliente ruvidezza del dispiacere. Un’opera che aderisce alla violenza della situazione senza toccare troppo le coscienze, senza davvero riuscire a fare male.
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