Entro in sala prevenuta, lo ammetto. Come non potrei? Dichiarazione a "Il fatto quotidiano" di agosto 2014: "non cedo al digitale": lo dimostra quello che giri, Sig. Costanzo, non serve dirlo. Ovviamente, 16mm. Buon compromesso, ma diciamolo, più che altro dichiarazione di intenti di un cinema che si crede "elevato". Il budget, poi, lo consente: "Hungry Hearts" non è un affatto "low cost". Contano le parentele? Sempre, più che mai in Italia (ché uno si può spostare a New York ma lo stesso restare aggrappato al minuscolo universo di conoscenze e produzione provincial-italiota), anche quelle "acquisite": Alba Rochwacher è l'attrice del momento, non è così? Difficile scindere Saverio da Alba: dopo il successo de "La solitudine dei numeri primi", trainata dal romanzo "evento" di qualche anno fa (con strascichi polemici con l'autore - ma ci stava P. Giordano, a collaborare, in sceneggiatura ...). Quanto vale oggi Alba? Intendo dire: quanto piace ai critici che si riempiono la bocca di elogi su film "pseudo-impegnati" e quanto al pubblico che entra in sala? Quanta analisi serena e distaccata dei suoi lavori può esserci realmente, senza cadere nel consenso a priori? Perchè, mi pare, Mrs. Rochwacher sia oggi alla deriva "derelitto-psicopatica-ripetitiva" per ammettere valutazioni sul valore: un Leone non si nega a nessuno, persino una Palma, se sei già qualcuno magari accompagnato da qualcun'altro. Ripercorro le interpretazioni estreme ultime: senza luci ed ombre: perchè lei oggi è un personaggio più che una professionista. Ed i ruoli le si cucino addosso, per altro, costantemente sollecitata ad estremizzare la sua presenza scenica: troppo scialba, oggettivamente brutta, di una magrezza senza attrattive (quando la magrezza, nel nostro mondo, è sempre attraente. Lei riesce a renderla muta ed insapore).
Sono prevenuta, lo so: ma che fare, se quello che vedi sullo schermo conferma i tuoi peggiori timori? Il malcontento serpeggia: due ragazze escono. Quei signori alla mia destra commentano con sarcasmo le continue chiusure/cesure a nero. "Non ci siamo proprio" mi viene da sbottare.
Parteggio per la protagonista, certo! Perchè la stupidità impera sovrana: del marito soprattutto (se uno si "sceglie" una tale pazza, e continua forsennatamente e contro ogni ragione a sostenerla, vuol dire che ... è più pazzo di lei!). Una famiglia a New York (con gli affitti di New York, con il costo della vita a New York ....) che vive di nulla: l'uomo non si presenta al lavoro e nessuno lo licenzia (se dipendente) e nessun cliente si lamenta (se libero professionista); la moglie un lavoro proprio non ce l'ha (negli US "aspettativa" "allattamento" etc ... sono miraggi di uno stato sociale inesistente): va beh che non mangiano! ma pagheranno almeno le bollette, i biglietti della metropolitana, "con quale assicurazione sanitaria sono state coperte le spese del parto in ospedale?" mi chiedo? Se la ragazza "ha solo noi due" (come insiste a ribadire il compagno, riferendosi a sé stesso ed al figlio) mentre la suocera propone aiuti evidentemente rifiutati. Mistero, misteri: nascosti dentro una sceneggiatura da dilettante. Dove si ergono dialoghi inutili e banalotti per almeno la metà del 110 tragici minuti. Sfumati nel silenzio nella seconda metà: purtroppo un silenzio verbale che si unisce ad un silenzio visivo. Perchè le immagini, gli sguardi, i gesti, non aiutano ad approfondire il senso di questa storia. Non c'è introspezione psicologica: né nei singoli protagonisti né nelle dinamiche della coppia. Nella delineazione di un estremismo (perchè in fondo, siamo davanti alla messa in pratica di un "ideale") non c'è genesi, non c'è sviluppo, non c'è sfumatura. La certezza, il credo senza fede, l'infallibilità, corpo centrale della narrazione, sono portati avanti con incertezze sconcertanti. Per cui "Hungry Hearts" non riesce a trovare un sua profondità - come da film "impegnato" - ma non riesce neppure a dipanarsi nel genere "thriller" - il ritmo è troppo blando. Se voleva essere un "horror" fallisce l'obiettivo colpendo invece il bersaglio di una involontaria tragica comicità. Il finale (no, niente spoiler!) è l'apice del ridicolo: ricorda lo stile di certe serie televisive "poliziesche" che vogliono complicare le cose per forza: per "tirare per le lunghe" e magari stupire lo spettatore con il colpo ad effetto finale. Che non c'azzecca nulla con tutto quanto fino ad allora "sostenuto".
La mia amica-vicina di sala è furiosa: se io rido lei si ribella! "Che cavolo vuol dire? - alza la voce - "che cavolo di messaggio è questo? Cioè, la pazza passeggia per la spiaggia e tutto si sistema? Chè alla fine, la pazza mica è lei! Non ci sono quindi vie d'uscita al di là della violenza?". Cerco di calmarla: "Sbagli approccio" la rimbrotto ironicamente "un film non deve ncessariamente avere un messaggio. O meglio, il messaggio spetta allo spettatore, alla sua comprensione e sensibilità". Non si convince: "Ma questo è il cinema italiano oggi? Ma hai sentito come era doppiata la protagonista? Basta saper muovere una telecamera per essere un genio? Qualche immagine scentrata, primi piani, grandangoli, effettucci claustrofobici e voilà il capolavoro? E che vuol dire questo Costanzo? Cioè, chi mai gli ho dato i soldi a questo? Glieli ho dati io con il canone Rai! E questo qui mi tiene in sala per 110 minuti per non dirmi niente? Anzi no, per dirmi tutto ed il contrario di tutto? Per dirmi che non c'è soluzione se non la morte? Cioè allora, mica mi serve un film: mi basta guardare un telegiornale qualsiasi (meno Studio Aperto)". E' proprio inviperita. "E poi? Questo Costanzo dice e non dice: vuole attaccare ma non ha il coraggio: butta lì la questione vegana e poi ritrae la mano. Del disagio profondo e totalizzante che porta un essere umano a farsi del male (l'anoressia) neanche l'ombra! Un ragionamento doloroso sul senso di inadeguatezza di essere genitori, dov'è? Dov'è?"
La lascio parlare, non ha tutti i torti. Quando è un po' più tranquilla, davanti ad una tisana calda, cerco di argomentare la mia posizione....
La sensazione imperante durante tutta la visione di "Hungry Hearts" è il senso di Saverio per l'orrido. Estetico innanzi tutto. A parte la prima sequenza (l'unica da salvare: ma che cosa c'entra, con tutto il resto?) c'è una volontà spinta di stare il più vicino possibile ai protagonisti: come se, indagando i brufoli sulla pelle, i denti storti, le labbra raggrinzite, stando appiccicati ai capelli unti si potesse penetrare nell'essenza dei personaggi, nel cuore e nella testa, nelle emozioni e nelle sensazioni. Non è così, Sig. Costanzo, che si fa. L'orrido irrita da subito - le scene di sesso sono inutili, asettiche (dov'è l' "amore"? Un marito che giustifica a tal punto una moglie, oltre che stupido e colpevole, deve essere pure "innamorato", mi dico. Ma dove è questo "amore"?) - e continua, inesorabilmente, a farlo per tutta la durata del film. Non c'è crudeltà, c'è solo una bruttezza irrealistica. Ma non voglio divagare con la mia interlocutrice: e cerco di restare su una critica innanzi tutto formale: la regia si perde in virtuosismi che non supportano una sceneggiatura di per sé senza ritmo e con oggettive difficoltà di coesione (rattoppate dal nero).
Fotografia e montaggio sono solo strumentali: non godono di una vita propria.
L'utilizzo della musica è, ennesimamente e sorprendentemente, dilettantistico: si vuole "colpire" lo spettatore vagheggiando originalità esclamando "What a feeling!" (la mia amica prende fuoco facilmente: "No, no, no: non mi distruggi un mito! Mi tappo le orecchie!") ma non se ne comprendono le ragioni. "Tu si’ na cosa grande" di Domenico Modugno pare un viaggio all'inferno che ha le luci al neon di Little Italy: stereotipato e veramente finto. Spezza e annacqua: la performance canora è troppo lunga. Per la durata di una eternità della colonna sonora si perdono le tracce: riappare dal nulla sul finale, per sciogliersi sui titoli di coda. Nicola Piovani, che già in tempi non sospetti definii sopravvalutato, è qui irriconoscibile.
Salvo dall'affondo manicheo che non sa dove andare a parare il povero Adam Driver. Che cerca di sfumare il suo personaggio (complice, colpevolmente e stupidamente complice fino alle estreme conseguenze) ma non ottiene il supporto di una Alba Rochwacher oramai completamente partita per la tangente in un delirio di onnipotenza paragonabile solo a quello di Mina (la protagonista). Dimenticabili gli altri interpreti.
Un discorso a sé stante meriterebbe il doppiaggio, la dizione della protagonista, l'utilizzo stesso della lingua (in che lingua parlano al primo incontro nella toilette del ristorante? In inglese mi pare ovvio? Mina ha un accento italiano? Difficile credere di no. Ma non si percepisce. In che lingua parlerà al bambino? Sempre e solo in inglese, visto che il marito la capisce? La risposta è sì, anche se, altamente improbabile, mi verrebbe da osservare: nei momenti di difficoltà si tende ad usare la lingua madre non quella acquistita. E poi, sarebbe stato un buon sistema di legame esclusivo di Mina con il bambino, estromettendo gli "estranei". Dubbi ed osservazioni sono inesistenti nell'opera. Almeno, nell'opera in italiano).
Sulla differenza profonda fra culture (madre italiana, padre americano/madre straniera, padre autoctono...) si passa con una pialla uniformatrice.
Le ellissi temporali non sono chiare.
L'inverosomiglianza di una vicenda passata per realistica mina alle radici la sceneggiatura: l'aspetto del bambino (mi permetto di introdurmi in una discussione altrui) non è elemento così grave (nei neonati il deperimento assume aspetti estetici un po' diversi rispetto a quelli di un bambino o di un adulto: le "rotondità" resistono di più alla malnutrizione. Il piccolo è sufficientemente mingherlino, secondo me. Parere del tutto personale) quanto l'assenza di spiegazioni pratiche e ribadisco: soldi, lavoro, spese? Questioni pratiche che alla critica nostrana, troppo impegnata negli elogi per dedicare attenzione a quanto colpevolmente latitante in "Hungry Hearts": "Something is missing. Something like credibility" (Deborah Young "The Hollywood reporter"). Mentre qualche voce fuori dal coro (più che altro fuori dallo stivale) non manca di segnalare che "...the movie fails some basic plausibility tests....It is a real shame, because the film appeared at first to be in possession of good and relevant ideas, and a persuasively appropriate way of putting them across. But Costanzo doesn’t know where to take the story .... and it simply collapses in a ridiculous muddle. (Peter Bradshaw "The Guardian").
Un film poco sincero, e colpevolmente furbo che utilizza strumentalmente la captatio malevolentiae dello spettatore, e benevolentiae del critico. Bocciatissimo.
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