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Hungry Hearts

Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film

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La recensione su Hungry Hearts

di ROTOTOM
8 stelle

locandina internazionale

Hungry Hearts (2014): locandina internazionale

Tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Franzoso, Hungry hearts è il film di Saverio Costanzo presentato in concorso alla 71° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, film per il quale i due interpreti principali, Adam Driver giovane attore americano posto sulla rampa di lancio dei divi e Alba Rohrwacher hanno ricevuto la Coppa Volpi per le rispettive migliori interpretazioni.

I giovani Jude e Mina si incontrano per caso in un gabinetto di un ristorante cinese, ostaggi di una porta capricciosa che li segrega nell’angusto e olezzoso anfratto. Si conoscono, si amano e si sposano. Una normale storia d’amore all’ombra dei grattacieli di New York, metropoli nella quale è ambientato il film. Poi il disastro: Mina, nel momento in cui rimane incinta, senza alcuna apparente ragione imbocca un tunnel psicotico nel quale totalitarizza il rapporto con il piccolo cercando di proteggerlo da tutto l’ambiente esterno. Soprattutto il rapporto col cibo diventa impossibile.  Mina non mangia e di conseguenza neppure il bambino. Cosa che si acutizza  alla nascita del bambino, segregato nell’appartamento, cibato di fantasiose ricette vegane che ne minano la salute fino a metterlo a rischio della vita. L’ideale di purezza perseguita da Mina, convinta da una cartomante di avere generato un “bambino indaco”, un essere speciale bisognoso di protezione, si estremizza in una folle devianza esoterico-salutista.

Nonostante l’evidenza della sofferenza del figlio, per Mina il proprio ideale diventa la prima cosa da difendere dagli attacchi esterni della ragione. L’idea di purezza alimentato dal sacro amore materno che non ammette dubbi, sovrasta del tutto la realtà del dramma che si sta consumando sotto gli occhi dei genitori. Il padre nel cercare di salvare la vita al figlio assiste  impotente alla frantumarsi della propria famiglia. L’epilogo della vicenda sarà drammatico e imprevedibile.

Alba Rohrwacher

Hungry Hearts (2014): Alba Rohrwacher

E’ difficile rimanere imparziali di fronte alle immagini di Hungry hearts. Le mani prudono dalla rabbia e il ceffone che Jude rifila a Mina al culmine dell’esasperazione, è il ceffone che tutti gli spettatori vorrebbero rifilare ad una madre insana come quella interpretata mirabilmente da Alba Rohrwacher. Uno schiaffo che è l’ultimo disperato tentativo di resettare una mente implosa in una condizione di ossessione psicotica che deforma la realtà fino a farla divenire espressione della mentalità distorta di Mina. L’ultimo tentativo prima dell’umiliazione della burocrazia, le carte bollate, il contendere il figlio come una proprietà esclusiva.

Forse la parte migliore del film è proprio quella del totale isolamento della coppia con figlio all’interno dell’appartamento che Costanzo riprende con un fish eye esasperato che contorce le fattezze dei soggetti fino al parossismo e capace di trasformare definitivamente il racconto di una storia d’amore in un potente kammerspiel onirico e claustrofobico venato di horror.

Questa distorsione della realtà è la chiave di volta del film che non è un atto d’accusa contro una tendenza, moda o esigenza di salutismo che sia, come quella vegana. Il cibo è un pretesto, solo una condizione di un problema più grande e universale: l’ideologia. La cieca osservanza di un dogma al di là di qualsiasi evidenza. Hungry hearts è un film che è ficcato come una lama nel cuore di una società affamata soprattutto di certezze, di punti di riferimento e barricata in difesa di una realtà molto spesso inconcepibile. L’ideologia è cieca e sorda a qualsiasi compromesso con l’umanità e piega l’esistenza al proprio volere. Unica superstite al dogma che propone, l’ideologia mira alla distruzione  sistematica dei propri antagonisti prima, dei propri adepti poi.

Costanzo usa l’immagine distorta proprio per raffigurare uno stato di sottomissione totale al dogma, la realtà deformata è al tempo stesso espressione della psiche della donna e manifestazione fisica di un’ideologia distruttiva che ha preso il sopravvento sull’umanità. Mentre fuori dai grattacieli di New York la vita scorre caotica, imperfetta e impura a volte, l’ideale di purezza mistico religiosa di Mina rifiuta l’imperfezione per accomodarsi sullo scranno dell’assolutismo. Fino alla morte. Germogliano i vegetali sul terrazzo, unico mezzo di sostentamento della famiglia come germoglia un’idea di grandiosità del gesto dettato dalla privazione e dalla sofferenza che portato stoicamente sulle membra prosciugate di forza vitale fa apparire la giovane donna come martire di un mondo crudele rispetto al quale lei e solo lei, abbia visto la luce della verità. Ad essa, a questa verità demente è disposta a sacrificare il figlio sorretta dall’esclusività del mistero della procreazione, privilegio che spetta solo a lei, donna. L’amore che prova per il figlio è totale, totalizzante, sacro.

Adam Driver, Alba Rohrwacher

Hungry Hearts (2014): Adam Driver, Alba Rohrwacher

La straordinaria performance di Alba Rohrwacher è scandita proprio da questo suo progressivo annullarsi, prosciugarsi di vita, rinunciare a reagire e abbandonandosi corpo e mente alla volontà dell’ideologia che ha sposato. Lo sguardo doloroso verso un punto lontano, rivelatore; il corpo ingobbito in una stoica sofferenza dettata dalla persecuzione del marito “infedele”; l’apparente accettazione passiva della ragione del marito unitamente alla forza e la determinazione nel perseguire la propria idea contro tutto e tutti, la fa risplendere in tutta la sua drammaticità come una figura eletta il cui martirio è il veicolo per l’elevazione spirituale e purificazione della propria natura di Madre portatrice d’Amore e quindi di Verità.

Il tema è quindi universale e maledettamente attuale. Lo sgretolamento della certezze in seno alla nostra società così fallace e ingiusta apre crepe nelle quali le ideologie più feroci trovano terreno fecondo per dare una risposta unica e univoca a chiunque abbia il cuore affamato dalle domande. Ma la vita è ingiusta, a volte. E imperfetta. Ed è in questa costante condizione di imperfezione che l’uomo si confronta con i propri errori, evolve e impara. L’ideologia mira alla perfezione, una perfezione che traccia una riga e considera quelli al di fuori, nemici.  

Il film di Costanzo è impregnato di solitudine e ambiguità. Il costante ribaltamento di significato dei comportamenti dei protagonisti riesce a pizzicare corde emotive molto profonde senza esacerbare mai il giudizio ma restando pietosamente accanto ai suoi interpreti fino alle estreme conseguenze dove a sorpresa, ancora una volta, un gesto d’amore deve nutrirsi di violenza per ristabilire l’ordine.  

 

Per buona parte il film è tenuto sotto stretto controllo, con impeccabile direzione degli attori e puntuale gestione degli spazi (la claustrofobia dell’appartamento è costantemente contrapposta dalla grandiosità del panorama newyorkese). Non c’è una parola fuori posto e non esistono scene superflue così che la secchezza del racconto si accordi idealmente ad un ideale di sofferenza, di fame che è veicolo dei temi del film. Solo la seconda parte, fino al perfetto e crudele finale, cede un po’ di tensione e alla meccanicità degli eventi ma non è un difetto rilevante. Più grave è l’imperdonabile leggerezza di far ridoppiare Alba Rohrwacher da se stessa. La straordinaria prova dei due attori, la loro spontaneità domestica è messa a dura prova dall’impostazione innaturale della voce di Alba che mal si adagia sulla fisionomia sofferta del suo personaggio. L’ideale sarebbe quello di sentire il film in originale, recitato in inglese e con tutte le imperfezioni del caso, visto che il personaggio di Mina è un’italiana che vive a New York.

 

Altro difetto del film è il personaggio del bambino. Se a livello narrativo il film è impostato sulla mancanza di nutrimento del piccolo, i casi diventano due. O il bambino non si mostra mai, lasciando all’immaginazione personale il compito di lavorare sulla forma del piccolo corpo in sofferenza e in tal caso si crea anche un’ambiguità ulteriore che sfuma ancor di più le ragioni dei due ruoli genitoriali, oppure lo si mostra con gli effetti del patimento da fame in modo da accordare visivamente la  ragione e il torto agli interpreti. Purtroppo il bambino è assolutamente normale e nel momento in cui Anne (Roberta Maxwell) la nonna paterna che riveste un ruolo molto importante nell’economia del film, prende in braccio il bambino dal grembo di Mina e dice “ma siete pelle e ossa”, la cosa è drammaticamente vera nel caso della madre ma non è assolutamente così per il bimbo che mostra due belle gambine pienotte e le guance se non pingui, decisamente pasciute. La stessa sensazione la si avverte sempre, ogni qualvolta il bambino sia ripreso. Non so se sia mancanza di coraggio o solo di attenzione, ma questa carenza di radicalità toglie un po’ di drammaticità al film e soprattutto, cosa che non dovrebbe mai accadere, scollega lo spettatore dalla sospensione dell’incredulità.

Hungry hearts rimane in ogni caso un buon thriller dell’anima che affronta coraggiosamente un tema scomodo, seppur con qualche piccola riserva che non intacca il valore di un’opera fortemente autoriale, capace di riportare temi universali in una vicenda intima e condotta con mano ferma fino al sorprendente finale.

 

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