Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film
Meno male... Dato il titolo, mi aspettavo di dovermi sorbire qualche minuto di Springsteen che mi vomitasse addosso qualcosa della sua tematica “politically correct”. Invece, graziaddio, è toccato a Modugno e, se non fosse stato per il doppiaggio, anche alla carnosa voce di Adam Driver (ve lo ricordate a fare la voce bassa di “Hey, Mr. Kennedy” in “Inside Llewin Davis”?) il commentare musicalmente, nei momenti che contano, questo film. Piovani, che firma il resto delle musiche, ce lo dimentichiamo volentieri subito, che è sempre così “musically correct” da rischiare, come sempre, di far stonare il tutto.
Ma per fortuna, i cuori affamati che cerca Costanzo stanno altrove, anzitutto in un’Alba Rohwacher non ancora liberata (causa: la sua personale incuria e/o la mania italiota di doppiare i film) dalla sua disgustosa dizione toscano/romanizzata, e prigioniera di un’ossessione che qualcuno (non so proprio spiegarmi perché, ma sono proprio tanti...) ha voluto inquadrare in un thriller (thriller?!!?!) noir (noir?!?!?) che è invece una semplicissima (si fa per dire...) storia di sofferenza psicotica.
Difficile, stando seduti in sala, non percepire un’avversione “logica” verso i comportamenti di Mina/Alba, un rifiuto, un sentimento di condanna e di censura... Difficile sopportare l’assurdità delle sue scelte, dei suoi criteri, del suo “Fidati di me” che condurrebbe inevitabilmente alla disgrazia per il piccolo, innocente infante.
Ma basterebbe ricordarsi di alcuni passaggi fondamentali in inizio film, quando due su tre delle prime scene sono locate dento una toilette: il fatto che Mina chieda all’amoreggiante Jude di non rischiare di lasciarla incinta prima ancora che diventassero quella “famiglia” che nessuno aveva mai chiesto, le lacrime pendenti di una meravigliosa scena da un matrimonio dove la pazza Mina (altro non le si deve, che non l’epiteto di pazza) subisce l’Amore che puzza (oh! quanto puzza!), o anche (e soprattutto) l’abilità narrativa di Costanzo, che usa non l’Amore (che appunto puzza) come molla del racconto, ma piuttosto preferisca a quello la Fame (che è invece importante), sia per stroncare ogni accusa di misoginia accampata contro questo film (che facciamo: incolpiamo la suocera come in una barzelletta di quart’ordine di Martufello?), sia per addensare l’attenzione su quel sentimento desueto che va sotto il nome di “Pietà” che, già subito con l’incubo di Mina del giovane cervo ucciso senza motivo, fa gravitare intorno a sé il vero senso di questo lavoro.
Da evidenziare un uso del grandangolo magistrale, e non solo, con cui Costanzo si conferma e si ripropone.
Pecca peggiore del film? I titoli di coda, con la Rohwacher seconda ad Adams.
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