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Hungry Hearts

Regia di Saverio Costanzo vedi scheda film

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La recensione su Hungry Hearts

di amandagriss
4 stelle

 

Noi siamo la comunione di anima e corpo, siamo essenza e sostanza insieme, spirito e concretezza inscindibili.

Siamo fatti di massa, carne ed escrementi.

Le figure diafane, evanescenti, che si librano leggère nell’aere e si elevano al di sopra dell’umana sporca razza bastarda appartengono ad un ideale di mondo che poco si sposa alla verità della nostra condizione terrena.

Se fossimo creature trasparenti come l’acqua sorgiva, pura fresca e cristallina, saremmo fatti della stessa (in)consistenza degli angeli, illuminati (e trapassati) da una eterna luce raggiante che ci accarezza il viso e mai ci brucia la pelle.

 

La gravidanza (quanto desiderata?) e il conseguente (sofferto) parto catapultano Mina, giovane donna italiana trapiantata nella Grande Mela ---dove i sogni diventano realtà sulle note di What a feeling (Flashdance), ma possono trasformarsi anche in spaventosi incubi ad occhi aperti--- su quei binari paralleli, in dimensioni spazio temporali aliene di cui una volta le parlò il marito, ragazzotto mai davvero cresciuto. E pare trovarsi a suo agio in questo mondo altro, che in breve tempo l’ha risucchiata, assorbendola del tutto.

La sua è una dimora-microcosmo, un rifugio dal contagio esterno di aria, sole, persone e cibo ‘spazzatura’.

Perché Mina oltre a non uscire più di casa si nutre solo di acqua e verdure, adattando questo ferreo/folle regime alimentare al marito e al figlio neonato, che ha praticamente trascinato nel suo universo favoloso, dove regna la purezza e la sicurezza assolute.

Ma la crescita del bimbo s’interrompe, rischia di morire (di fame). Le cose precipitano vertiginosamente e la tragedia non tarda a bussare alla loro porta…

 

Hungry Hearts è costruito intorno al sensibile talento di Alba Rohwacher, capace di trasformare e piegare il proprio corpo alla volontà della storia chiamata ad incarnare.

Era già successo ne La solitudine dei numeri primi, succede ancora adesso, ancora in meglio.

Infatti l’attrice, aiutata anche dai lineamenti del viso che ricordano quelli degli elfi e folletti, è perfetta nel tratteggiare la classica figura eterea nonché pallido scricciolo indifeso, anima bella dai modi educati e sussurrati, che mai alza la voce e mai impreca. Lei, scema-maligna pazzoide, personalità aggressivo-passiva, sa come raggiungere i suoi scopi, come aggirare gli ostacoli col suo irritante fare da mamma chioccia protettiva e rassicurante, lei consapevole del suo potere di madre (di fronte alla società e alla legge) e, in quanto madre, conscia di occupare una posizione di vantaggio, al di sopra di chiunque altro, anche del consorte. Purtroppo, a penalizzarla è il doppiaggio (di se stessa), imbarazzante. Sembra che per tutto il tempo sia impegnata a leggere piuttosto che a interpretare.

Quando invece, sul finale soprattutto, le scene si spogliano delle parole, gli affondi emotivo-espressivi della sua efficace madre-ricatto brillano senza ombra alcuna.

Saverio Costanzo è certamente uno dei pochi registi italiani in circolazione capace di scrivere un film con le immagini e le inquadrature, riuscendo ad ammantare la sua creatura delle atmosfere che intende conferirle.

Sa come ottenere da chi guarda un’attenta partecipazione con l’uso della macchina a mano a tallonare i suoi personaggi, esplorando a mò di entomolgo le pieghe dei loro volti, le loro espressioni, e, di lì, i loro stati d’animo.

Sa riempire di tensione il racconto quando scandaglia il vissuto quotidiano della coppia, sa creare un forte senso di disagio claustrofobico riuscendo a sfruttare il potenziale di spazi ristretti ed ostici, conferendo altresì l’impressione che ci si muova all’interno di essi con pesante lentezza, come immersi nelle sabbie mobili.

Sa rendere la percezione distorta della realtà che governa la fortezza affamata d’amore mediante l’effetto deformante di un grandangolo.

Sotto il profilo formale Costanzo confeziona un buon film, che nello stile pare rimandare ai lavori del ‘dogma’ senza le sue estremizzazioni (camera traballante o montaggio spezzato); basti considerare l’impianto minimalistico e ricordare la scena del matrimonio e quella (accattivante trovata) iniziale.

Ma che Costanzo si scriva da solo i film che dirige pare una pretesa eccessiva.

E, infatti, il film collassa su se stesso. La storia così come ce la racconta è poco se non per nulla credibile.

Indagare intimamente il malessere di questa famiglia senza ancorarsi alla realtà o, peggio, fingendo di farlo ---dove sono la legge che tutela i minori, i medici che conoscono il caso ancor prima della nascita del bimbo, il pronto soccorso dove poter condurre il bimbo, sottoporlo ad una visita così da attestare la sua denutrizione tra l’altro già certificata, facendo scattare perlomeno un’indagine?--- rende questo lavoro sterile, un inutile esercizio di stile, un inno all’Alba angelicata, venerata compagna di vita  del regista romano.

Hungry Hearts è un ragionare astratto, che vuole (perché sa solo) girare a vuoto su un argomento di tendenza -l’etica vegana- tanto in voga negli ambienti salottieri quanto nei pomeriggi televisivi di bassa lega.

Così, pour parler, direbbero i francesi.

Così per ottenere il proverbiale effetto da pugno nello stomaco. E la giusta attenzione mediatica.

L’impressione è che l’ ‘autore’ si appassioni ad una tematica senza che ne sappia nulla a riguardo, alla stregua di un capriccio, e se ne impossessi per dimostrare di avere qualcosa da dire quando in verità non ha proprio nulla da dire.

Questo film è un involucro vuoto.

Si serve della teoria new age del ‘bambino indaco’ [secondo cui esisterebbero dei bambini caratterizzati da un’aura color indaco definiti speciali perché dotati di poteri soprannaturali, ai quali non deve essere somministrato cibo solido per non attentare alla loro innata purezza], riportata nel romanzo di Marco Franzoso che ha ispirato il lungometraggio,

per compiere un’operazione intellettualmente disonesta: sovrapporre le due ‘dottrine’, identificando l’una con l’altra, fondendole in unico terrificante mostro.

Purtroppo.

Patacche della nostra italietta.

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