Regia di Jeff Preiss vedi scheda film
Le storie che il jazz racconta, sono parecchie. La musica è la miglior musica che sia stata immaginata dagli esseri umani: è capace di portarti in altre dimensioni, di curare le ferite, di farti sentire tutte le sensazioni della vita. Gli uomini del jazz, invece, si sono spesso sacrificati al suo altare, nel nome della Bellezza. L'elenco è sterminato e inutile, le leggende le conosciamo tutti, con i loro eccessi e le loro sfortune. Joe Albany era uno di loro, un eroe senz'altro minore, ma forse neanche per sua volontà, che dopo aver suonato con mostri sacri come Parker o Lester Young, si è eclissato dalla vita musicale per parecchi anni, purtroppo nel periodo più fortunato per il jazz, fra gli anni cinquanta e sessanta, distrutto dalla dipendenza con la droga e da matrimoni sfortunati. Torna alla notorietà negli anni settanta, incide, fa qualche tour, soprattutto in Europa, ma l'eroina non lo abbandonerà mai, portandosela via nel 1988, a 64 anni. Quasi graziato, rispetto ai musicisti che ne hanno condiviso visione musicale e demoni. Pianista sopraffino, è raccontato, qui, da Jeff Preiss, uno che ha sempre fatto il direttore della fotografia e che qui esordisce anche alla regia. Preiss conosce la materia, avendo lavorato, per esempio, nel discusso documentario, (per me, bellissimo), "Let's Get Lost" su Chet Baker. La scelta per questo "biopic" è particolare: il regista racconta il Joe Albany degli anni settanta, come è stato visto e descritto nel libro di memorie scritto dalla figlia Amy, dopo la sua morte. Un'ottima Elle Fanning, la interpreta, e Preiss impernia tutta la pellicola attorno a lei, al suo sguardo luminoso e nello stesso tempo doloroso, che, amatissima dal padre, ricambiato, ne segue le vicende umane, più che musicali. Lui, Albany, è portato sullo schermo da un bravissimo John Hawkes, uno che meriterebbe molta più considerazione, che gigioneggia e si fa, fra gli amici "junkies" di una New York d'epoca, ricostruita molto bene e fotografata, ovviamente, ancora meglio. La storia non è particolarmente accattivante, in fondo la vicenda personale di Albany è simile a quella di molti altri jazzisti, ma la realizzazione del tutto, convince e arriva dove deve arrivare, senza arrancare, senza cadere in situazioni melense o falsi moralismi. E' la storia di un uomo e di una figlia, soprattutto, di una relazione intensa nonostante tutto e tutti. Oltre ai due attori principali, è da segnalare l'ottima prova anche di Glenn Close, madre e nonna, figura importante e collante disperato fra queste due anime complesse. Sullo sfondo, ovviamente, molta musica jazz e l'impressione palpabile di un'epoca che andava a morire tristemente, portandosi dietro gli ultimi scampoli di leggenda. Un bel film, superiore a molte altre biografie cinematografiche molto più quotate, ma prive di anima e di sostanza. Non è questo il caso, per fortuna.
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