Regia di Peter Sattler vedi scheda film
Suttler tesse con sensibilità la trama di un progressivo avvicinamento emotivo che dalle intemperanze di un barbuto provocatore per necessità si traducono nelle inevitabili attenzioni di una graziosa missionaria per vocazione: la naturale condivisione di una intimità umana che consoli le reciproche solitudini e mitighi le rispettive prigionie.
Al suo primo incarico nell'esercito la giovane soldatessa Amy Cole viene assegnata come guardia carceraria nella base americana di Guantanamo. Le dure condizioni di reclusione cui sono sottoposti i prigionieri ed il rigido disciplinare cui si devono attenere i loro guardiani, portano la giovane ragazza a solidarizzare con un giovane detenuto tedesco di origini tunisine. La loro amicizia lascerà un segno profondo nelle reciproche esistenze.
Dalla turbolenta soggettiva di una extraordinary rendition post 11 Settembre all'approccio semidocumentaristico di un campo di prigionia del terzo millennio al di fuori della Covenzione di Ginevra , l'esordio del giovane Suttler ridimensiona presto il realismo delle intenzioni ed il ritmo delle azioni per ficcarsi piedi e polsi nei ceppi di un melodramma carcerario che si gioca sulla ambigua intercambiabilità tra reclusi e reclusori, piuttosto che sul transfert di una rapporto confessionale vissuto dalle opposte sponde di un tramezzo di cemento e acciaio. Mantenedosi equidistante tanto dalla retorica marziale di una nazione minacciata nelle fondamenta dei suoi valori libertari (l'alzabandiera, l'adunata, la procedura) quanto dalla cruda attendibilità di un regime concentrazionario ben più disumano di come è mostrato (pure il cibo di qualità e le mascherine per il sonno!), questo dramma militare al 20° parallelo si misura piuttosto con la lenta maturazione di un sentimento di umana solidarietà quale reazione ad un ambiente repressivo attraversato da un bieco cameratismo maschilista e dall'alienazione di un rigido protocollo spersonalizzante. Non ostante i momenti di stanca di un film dall'andamento anodino, personaggi secondari appena abbozzati e diversi spunti narrativi un po' abbandonati a sè stessi (il nonnismo dilagante, la discriminazione sessuale, la diatriba disciplinare), Suttler tesse con sensibilità la trama di un progressivo avvicinamento emotivo che dalle simpatiche intemperanze di un barbuto provocatore per necessità si traducono nelle inevitabili attenzioni di una graziosa missionaria per vocazione: la naturale condivisione di una intimità umana che consoli le reciproche solitudini e renda sopportobili le rispettive prigionie, declinando con furbesco pragmatismo le virtù morali di un sincretismo religioso che ricomponga lo scontro di civiltà riprodotto nell'esemplare microcosmo della realtà carceraria. Il peso del film , va da sè, è quasi interamente sulle spalle dei due bravi protagonisti: l'irsuto e istrionico detenuto di un Peyman Moaadi col pallino per il Sudoku ed i libri di Harry Potter e la bellezza androgina e adamantina di una Kristen Stewart quale compassionevole Madonna di Cuori in divisa mimetica. Finale inevitabilmente strappalacrime, ma dotato di una credibile progressione drammaturgica: dalla tensione di una crisi umana che si risolve nella fiducia di una confessione personale e nell'empatia di una mano tesa, al testamento d'affetto di un libro con dedica quale speranza di una vita che vale la pena di essere ancora vissuta. Candidato al Gran Premio della Giuria come miglior film drammatico al Sundance Film Festival 2014.
Dalla sua cella lui vedeva solo il mare
ed una casa bianca in mezzo al blu
una donna si affacciava... Maria
E' il nome che le dava lui...
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