Regia di Daniele Ciprì vedi scheda film
A dispetto della mia personale diffidenza nei confronti di un certo “establishment” del cinema italiano (quello visibile sopra l’orizzonte) e della mia altrettanto personale avversione a certi attori della stessa geografia (Castellitto, Papaleo), mi sono voluto comunque fidare della storica ragione sociale “Ciprì e Maresco”, devo dire, senza pentirmene.
Saranno stati i dentoni di Castellitto sempre in evidenza, o quella sua aria da Ispettore Clouseau assieme ai titoli di testa così brillantemente ingenui anch’essi alla Blake Edwards; o quell’atmosfera retrò, peraltro tradita da un paio di dialoghi assolutamente incongruenti (vabbè, fa niente), o quell’utilizzo di un Papaleo finalmente sotto (dentro) le righe e correttamente ridimensionato al suo potenziale; o forse l’irresistibilità (questa costante) del talento preternaturale di Valeria Bruni Tedeschi, o la prestazione disinvolta e non artatamente caricata del cagnolino “Internazionale”; o quel sottotesto costante dello script di un’Italia insieme cialtrona e generosa, opportunista e altruista, così tanto poco svizzera e proprio per questo accattivante e “simpatica” che fu e sarà sempre dei film tipo Alberto Sordi che “impara” al figlio, orgogliosamente, come non pagare il conto in pasticcieria... O forse è stato solo il patrimonio consolidato della premiata ditta “Ciprì e Maresco”, la ricchezza popolare di quel modo di vedere e mostrare le cose, il saper essere semplici senza voler strafare (che non è facile, a pensarci bene...); o magari sono state solo quelle due o tre scene in cui Castellitto si produce in gesti atletici tanto notevoli da essere inimmaginabili per uno del suo imbolsito partito, fatto sta che questo film mi ha molto divertito (prego notarsi la finezza della rima baciata sebbene in un contesto cacofonico, grazie).
Rifiuto di storcere il naso (appellandomi alla clemenza della Corte e delle sue pressanti partite di calcio...), e convintamente esprimo per questo “la Buca”un’opinione positiva.
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