Regia di Daniele Ciprì vedi scheda film
Due anni dopo aver esordito con lo splendido È stato il figlio, Daniele Ciprì fa il bis alla regia ricercando un tono diverso, più popolare, ma comunque distante da quanto mostra la commedia attuale.
L’idea fondante e alcune macrosequenze, così come la proposizione di vizi che segnano da tempo immemore il modo di pensare nostrano, sono di gran lunga migliori del film nel suo insieme.
Dopo aver trascorso ventisette anni in prigione, Armando (Rocco Papaleo) neanche riesce a riassaporare la libertà che si ritrova alle prese con un cane e soprattutto con Oscar (Sergio Castellitto) che vorrebbe approfittarsi di lui per racimolare qualche quattrino facile.
Quest’ultimo non fa in tempo a capire che non vi è nulla da spillare, che già trova un altro potenziale modo per sfruttarlo; infatti, pare che Armando sia stato condannato ingiustamente e qualora dimostrato il risarcimento sarebbe corposo.
La buca rievoca la vera commedia italiana (che non si fa più), con saltimbanchi della peggior risma, il raggiro installato nelle zone più radicate del cervello e la superficialità come metro d’azione che stringe il cerchio degli interessi a se stessi.
In questa narrazione, l’abito non fa il monaco; per l’onesto la buca è da sistemare, per il truffatore è un’occasione da sfruttare per frodare e arricchirsi facilmente. A vincere, in un modo o nell’altro, è l’arte di arrangiarsi - visto anche che dall’alto non vi è nessun aiuto o dottrina per incentivare un comportamento differente – di trovare una scappatoia, tra cinismo e superficialità.
Un riquadro che ha il fulcro nei personaggi di Armando e Oscar, che in principio si completano per poi avvicinarsi fino al punto di unirsi; Sergio Castellitto marca una caricatura senza tempo, mentre Rocco Papaleo è inusuale, asciugato, estraneo, ma comunque in evoluzione, infine Valeria Bruni Tedeschi è l’unica instancabile forma di calore umano.
Se gli aspetti interessanti non si fanno attendere, purtroppo l’andatura è compassata, quando non proprio stanca, e la proposizione comica assume toni discontinui.
Anche la fotografia, componente attiva e artefatta, non porta un bonus sostanziale - per quanto elevi di non poco il film dalla maggioranza delle commedie italiane di oggi – semmai funzionano meglio le numerose piccole cose, come il legame morboso con la ricchezza (i parenti di Oscar si avvicinano e distanziano a seconda del suo potenziale economico), mentre il finale è un riuscito colpo gobbo che cambia più di una percezione, all’insegna del motivetto cinici non si nasce, si diventa.
Ricco di stimoli, ma nella sua interezza riuscito solo in parte.
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