Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Quando - a qualunque titolo - il cinema recente ha affrontato la Storia ambientata nell’antichità, ha soprattutto creato amenità (ad esempio, Gods of Egypt), di fronte alle quali ogni forma di disgusto è lecita.
Anche per questo, è da apprezzare l’intervento nel genere di Ridley Scott (già come fece ai tempi de Il gladiatore) che, forte di una visione maestosa, si prende le licenze del caso e punta forte sulla messa in scena, senza per questo rinunciare a forti conflitti umani.
A voler fare le pulci, potremmo perdere tanto, e probabilmente inutile, tempo. Ciò che emerge con prepotenza, è un’idea di cinema che intende catturare sguardo e cuore, cercando di non far accendere troppo il ragionamento.
Exodus: Dei e re, narra di Mosè (Christian Bale), del faraone Ramses II (Joel Edgerton), del loro intenso legame fin dalla tenera età e delle scelte che il fato e la fede indicano.
Di fronte alla cecità del faraone - anche al cospetto delle piaghe bibliche - Mosè decide di guidare il suo popolo verso una salvezza che sembra impossibile da raggiungere, non fosse per la presenza di una forza superiore che l’ha scelto come interlocutore privilegiato.
L’esperienza porta consiglio. Piuttosto che guardare indietro al cinema (irraggiungibile) di un tempo, Ridley Scott, nonostante l’età, conferma di essere un regista moderno, anche quando affronta tematiche di origine antica.
Il suo Exodus; Dei e re avanza a ritmo deciso, immortalando scene immaginifiche una dietro l’altra, di una bellezza tale da relegare in secondo piano la valenza del dispositivo narrativo.
Non che quest’ultimo sia per forza un algoritmo fallace, semplicemente ricerca l’impatto della messa in scena, che la fotografia suntuosa firmata da Dariusz Wolski (all'opera anche nel successivo film del regista, The martian) amplifica in ogni occasione disponibile, facendo dei calcoli sul resto, sapendo cosa perdere per strada e quanto meriti di essere focalizzato.
Quello che nasce è un compromesso logico e produttivo: l’azione porta a elargire magniloquenza e i conflitti, proposti tra questioni di sangue e religione, rendono il tessuto narrativo, gestito a otto mani con il coinvolgimento di Steven Zaillan (Schindler’s list, The night of), sufficientemente denso.
Detto questo, è principalmente questione di spettacolo: la lunga sessione sulle piaghe d’Egitto ha una valenza figurativa che riscrive i confini della persuasione, ma già in precedenza dispone di un incipit in pompa magna.
Grazie alla rappresentazione, che si prende anche i suoi tempi per srotolare un racconto comunque non così ristretto, Ridley Scott conferma la sua attitudine al massimo coinvolgimento, con soluzioni sul filo di lana, aiutato da un Christian Bale possente, presente e trasformista eccezionale, dallo spregiudicato Joel Edgerton e tutto un gran cast, dislocato ai piedi di un autore che trasmette istantanea fiducia.
Il risultato è un film maestoso, che non fa della precisione un vanto, ma che è anche conscio di come ammaliare il pubblico, costruendo scene in grado di catturare lo sguardo senza comunque trascurare eccessivamente il resto dell’offerta.
Uno dei rari peplum degni di nota degli ultimi anni.
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