Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Forte ho avvertito la percezione che mancasse qualcosa. Quando poi ho recuperato un'intervista al regista Ridley Scott, in cui si menziona l'esistenza di una versione "final cut" di ben 4 ore, credo di avere trovato conferma della probabile ragione di questa mia sensazione. Lo squilibrio è per me evidente, tra sezioni del racconto approfondite a un livello adeguato alternate ad altre che invece vengono trascurate nell'approssimazione. In particolare mi sembra che la narrazione cominci a subire diverse accelerazioni a partire dalla "chiamata" dell'angelo e in molte delle scene a seguire, fino alla conclusione. Magari è proprio per questo motivo che le quasi due ore e trenta minuti di durata scorrono così bene, senza peso, tuttavia confesso che non mi sarebbe affatto dispiaciuto assistere a un taglio più profondo, meditato e riflessivo. Come già accadde per l'approdo al cinema di Kingdom of Heaven (2005), infatti, a farne le spese sono l'epica dell'intreccio e il profilo dei personaggi, tanti dei quali smarriscono il loro potenziale e sono ridotti in un secondo piano quasi insignificante (ma anche i principali avrebbero beneficiato di una gestione più acc(al)or(a)ta, ne sono convinto). Gli attori svolgono il loro compito, senza che emergano grandi interpretazioni. La vera creatività trova piuttosto libero sfogo nelle sfarzose ambientazioni storiche e nelle ricostruzioni digitali degli effetti speciali, integrati con cura impeccabile evitando l'ostentazione, un dettaglio di certo apprezzabile. Si fosse dato più respiro e dinamicità a interazioni e psicologie, analizzando i diversi cammini intrapresi dei vari protagonisti, donando enfasi all'ispirazione filosofica e religiosa, anziché rischiare di limitarsi soltanto a una affrettata successione episodica di eventi, penso che avremmo potuto avere un film nettamente migliore, capace di valorizzare i pregi poco sfruttati. Resta apprezzabile ugualmente, nonostante i difetti, ed è preferibile al deludente Noah (2014).
Nel XV secolo a.C., il faraone Seti ordina che vengano annegati nel Nilo i figli maschi degli Israeliti, gli stranieri resi schiavi nel suo paese, al fine di ridurre il loro numero. Un bambino però sopravvive, Mosè, abbandonato dalla madre in un cestino sul fiume. Trovato dalla figlia del faraone, crescerà come un fratello per il Principe Ramses. Anni dopo, Dio apparirà a Mosè in un roveto ardente e lo chiamerà a condurre il suo popolo verso la libertà.
Imponente e maestoso nel rendere le scelte visive, trascende i confini del puro intrattenimento e forse tenta di interessarsi a un sotteso più intimo e spirituale, benché con successo altalenante.
Incarna con sicurezza e determinazione un Mosè a tratti inconsueto e assai meno profeta.
In apparenza non così convinto e convincente nel vestire i panni di Ramses II.
Seti I ha un ruolo ridotto eppure di efficacia senza pari.
Tuya ha appena l'occasione di una breve apparizione. Peccato.
Anche per Nun si rimane purtroppo nella marginalità.
L'insieme è più che gradevole, ma non so quali contributi siano da attribuire ad Alberto Iglesias e quali invece a Harry Gregson-Williams. Il complesso è comunque di discreta qualità.
Vedremo mai un'edizione estesa o "Director's Cut", che sia però meritevole?
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