Regia di Ridley Scott vedi scheda film
"Io lo so che non sono solo
anche quando sono solo,
io lo so che non sono solo"
Cosa dire di Exodus.
Dopo poco più di 50 anni ritorna a scorrere sul grande schermo la titanica traversata degli schiavi ebrei dalla matrigna tirannica terra d’Egitto alla terra (creduta) promessa. L’operazione rinverdisce l’episodio biblico e nel suo aggiornare rivedere e correggere non manca di creare agganci col futuro prossimo venturo/venuto di un popolo destinato a subire ulteriori, peggiori se non medesimi trattamenti, confermando e rafforzando il concetto alla base dell’eterno inarrestabile fluire degli eventi: i terribili/temibili, inevitabili corsi e ricorsi storici.
È una pellicola che ha il sapore del kolossal, e la regia di Ridley Scott -agile, fluida, di grande respiro, attenta ai dettagli incastonati minuziosamente nella maestosità di ogni singola inquadratura, impreziosita da una stereoscopia che fa dignitosamente la sua parte- é forse l’unica oggi a poter rappresentare, esaltare senza mai strafare, tener testa senza aver nulla da invidiare al monumentale, epocale I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille.
Stavolta, però, si è pensato di mantenere una maggiore aderenza alla verità storica, di condurre la narrazione a misura d’uomo e mettere da parte i sontuosi, ridondanti e frastornanti toni epici del predecessore, quella caratterizzazione alquanto stereotipata dei buoni e dei cattivi, quella assoluta certezza di essere e persistere nel giusto (da ambo le parti), quella cieca determinazione che non ammette esitazioni, che non chiama in causa, giammai, alcun sentore di perplessità.
Di riporre quella sicurezza priva di zone d’ombra, che rende il passo dei fuggitivi fermo e deciso, che fa di Mosé un essere trasfigurato, accigliato detentore di tutte le risposte che il ventre di questa terra custodisce, un infallibile e imperturbabile testa d'ariete a sfondare ostacoli di ogni sorta, una roccia di granito che mai si scalfisce. E mai si volta indietro.
Un super uomo, retto, saggio, buono e giusto.
Il nostro Mosé è prima di ogni cosa un essere umano, un giovane e valoroso soldato, pragmatico e poco incline alle rivelazioni ‘esoteriche’ del veggente di corte, che ama ed è fedele alla famiglia dei faraoni con cui è cresciuto e si è formato.
È un condottiero che in battaglia dà il meglio di sé, difende i propri uomini, salva senza esitazione chi si trova seriamente in pericolo.
Mosè è un’anima divisa in due, quello che un tempo era e quello che (conosciute le sue reali origini) adesso è.
È divorato dal dubbio, l’incertezza soffoca il suo petto, affolla la sua mente e dà voce ai suoi pensieri in subbuglio;
cerca risposte, ascolta, sa intimamente di dover credere. Forse crede davvero.
La fede. È questo l’elemento cardine della pellicola di Scott, che più volte, nei momenti cruciali del racconto (le 7 piaghe, l’attraversata del mar rosso, il rapporto con la donna che sposa) si rende manifesta in tutta la sua struggente imperfezione.
Essa non è l’incrollabile convinzione di un fanatico, è piuttosto un cruccio, un sentire inspiegabile, impossibile da descrivere a parole; è un credere che scricchiola e vacilla perché la fede non annulla la volontà, perché, nonostante i segni tangibili e inconfutabili della presenza divina, la fede lascia spazio alla scelta individuale. Al libero arbitrio.
Il film rappresenta Dio attraverso la figura di un bambino, come a dire che l’uomo al suo cospetto deve farsi umile, abbassare il capo, inginocchiarsi per poter parlar con lui guardandolo negli occhi. E ritornare fanciullo, riprendere a colloquiare con la parte più autentica e genuina di sé, purificarsi, divenire un povero di spirito a cui il regno dei cieli non verrà negato.
E anche per esprimere quanto la fede, appena germogliata, sia da nutrire, curare, preservare così da farla crescere, renderla solida, forte, invincibile alle tempeste della vita.
Interessante notare come alcuni lavori realizzati negli ultimi tempi, per quanto sembrino in apparenza diversi ed inconciliabili, posseggano, invero, dei punti in comune e siano legati da un invisibile ma spesso filo rosso che tanto raccontano dei nostri strani giorni.
Il generale Mosé è il navy seal Chris Kyle dell’ultimo Eastwood ma è anche l’astronauta Cooper di Interstellar, e persino l’ex funzionario dell’ONU Gerry Lane di War World Z : incoscienti, pazzi visionari o solo semplicemente uomini tra gli uomini, il cui talento o specialità viene impiegato per imponenti missioni di salvezza.
Eroi o martiri, di certo prescelti, che il mondo (di finzione e non) individua come necessari, per mezzo dei quali poter dirsi e sentirsi ancora vivo, per mezzo dei quali poter tenersi ancora stretta la speranza.
Sono individui che portano fino in fondo e sulle proprie larghe spalle il peso e le conseguenze delle loro decisioni. Delle loro gesta.
Non senza indugio, non senza lasciarsi dietro di sé qualcosa,
non senza palpiti del cuore,
non senza paura, sconforto, disperazione.
Non senza dolore.
Il personaggio di questo nuovo commovente Mosé, ricco di spessore come mai ci saremmo aspettati, si addice splendidamente all’eclettismo e alle corde di un attore (un indovinato Christian Bale) che continua a mettersi alla prova incamminandosi su strade solo apparentemente facili e battute (come in questo caso), il quale, affidandosi ad un raffinato lavoro di mimica facciale, riesce ad illuminare il suo volto ed i suoi occhi di tutte le emozioni umanamente possibili.
Sicuramente da vedere.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Analisi generale del cinema che ci stanno rovesciando addosso e che che condivido totalmente, tranneil fatto che Ridley Scott sia personalmente coinvolto sui problemi della fede che lascia a noi. :)
ciao, non pensavo di vedere un film così anche se nutrivo dei dubbi (in positivo) visto il coinvolgimento, a questo punto non a caso, di Christian Bale, non so se Scott sia coinvolto direttamente nelle questioni di fede, ma è vero che giustamente le lascia a noi, resta il fatto che esprime in maniera assai efficace la trasformazione di ''colui salvato dalle acque'', quanto mai la rende credibile, certo è che ha dedicato il film al fratello, e in questo Exodus si sottolinea il rapporto di fratellanza fra Ramses e Mosè, e forse non è proprio un caso, magari rispetto ad altre pellicole più recenti da lui dirette, questo film l'ha sentito maggiormente vicino.... io sono rimasta soddisfatta e sono felice di averlo visto, pensa in sala -ed eravamo abbastanza- non si è sentito un fiato, e questo è un buon segno,
un saluto a te e a risentirci, grazie :)
Condivido praticamente tutto quello che dici nel tuo ottimo scritto, Antonella, anche se il Dio mostrato come bambino mi ha dato più l'idea di un Dio capriccioso e, appunto, giovane e vendicativo, piuttosto che di un mezzo per tornare a parlare con il Sé bambino. Per il resto, sottoscrivo tutto. Ciao!
sissì un dio sicuramente punitivo come vuole il vecchio testamento, ma voglio pensare che gli sceneggiatori abbiano cercato di fornire una visione più moderna, dove dio non è solo appunto punitivo e capriccioso ma anche un 'confidente' con cui parlare in modo 'rilassato', se solo si pensa al dio di DeMille che faceva venire i brividi, con quella voce cavernosa.... qui siamo davvero avanti, ciao e grazie del passaggio ;)
Ciao Amanda, questo film ha colpito molto anche me.
Il Dio bambino mi ha sconcertata in senso buono, e mi ha fatto pensare appunto a un Dio capriccioso, (come è poi quello del Vecchio Testamento appunto...) ma allo stesso tempo a un dio che deve farsi a misura d'uomo per essere compreso, e comunque l'uomo non sempre ci riesce.
La scena finale mi ha fatto pensare che quello che viene da Dio - presumibilmente - arriva all'uomo, Mosè in questo caso, filtrato.
Se si pensa a tutte le varie interpretazioni della Bibbia, alle traduzioni che può aver avuto nei secoli, questo film si avvicina molto a quella che potrebbe essere la '''verità''' con tutte le virgolette del caso...
Comunque, bella questa figura di Mosè così umano, conflittuale con Dio stesso...
Ciao, bella recensione come sempre.
Commenta