Regia di Giulio Base vedi scheda film
Piero Chiara è stato uno scrittore che per tutta la vita ha narrato del suo lago, del suo bar, del suo paese, dei suoi amici. Di quella provincia, come Maupassant con la sua, ha fatto il suo punto di forza, raccontandone vizi e scandali, rendendola universale. Dai suoi libri erano già stati tratti film come 'La stanza del vescovo' , 'Venga a prendere il caffè da noi' e 'Il piatto piange'. Ne 'Il Pretore di Cuvio' si racconta di un paesino della Valcuvia negli anni '30, dove Augusto Vanghetta, sposato con una donna con molti meno anni di lui, è ossessionato da tutte le altre femmine. Finché non compare in pretura l'imberbe avvocato Mario Landriani che il pretore elegge incautamente a custode della moglie, credendolo omosessuale. Invece i due giovani si innamorano con conseguenze fra il tragico e il comico. Oggi si porta questo racconto al cinema con dedizione letteraria quasi filologica, ed è soprattutto questo che rende l’operazione vincente. 'Il Pretore' appare come un raffinato studio di commedia fatto di sottintesa pietà verso questi piccoli esseri dalla sorte dannata. Un assemblarsi di perfetta coesione dove scrittura, regia, fotografia, costumi, scenari e recitazione danno vita a un teatrino dell'animo umano con la magistrale precisione dell'intreccio e dei dettagli. Il Vanghetta è un Francesco Pannofino in stato di grazia: senza risparmiarsi presta voce, corpo, pancia e cuore a questo suo fantoccio fascistello vittima delle sue amanti e delle sue fregole. Il resto della compagnia è all'altezza, ogni personaggio è un gioiello, tutto va diritto allo scopo. Base trova una grande felicità narrativa per entrare in quella realtà, per farci 'sentire' Chiara, ci distilla con gusto le beffe del destino. Se il cinema italiano riportasse di più l’attenzione sulla nostra grande letteratura come fa benissimo questo film, otterrebbe risultati migliori.
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