Regia di Mariangela Barbanente, Cecilia Mangini vedi scheda film
A Taranto e a Brindisi l’industria petrolchimica ha scritto la storia, «la classe operaia ha trascinato la regione come un transatlantico» nelle parole di Cecilia Mangini. Che si ricorda la Puglia quando era agricola e popolata di donne vestite di nero, e l’ha vista diventare industrializzata in pochi anni. I diritti dei lavoratori che in quelle fabbriche hanno perso la vita o contratto una malattia incurabile, invece, vengono calpestati da parecchi più anni, talmente tanti che, come dice la regista, il passaggio è stato indolore, diluito nel tempo, altrimenti il popolo avrebbe fatto una rivoluzione. Mangini, classe 1927, ex «fascista sfegatata» a 15 anni, ex collaboratrice di Pier Paolo Pasolini, torna a camminare fra la gente della sua regione, a parlare faccia a faccia con i dipendenti dell’Ilva, con il primario di neonatologia di Brindisi che traccia l’incremento dei tumori nei bambini, con gli stessi volti, più vecchi di quattro decenni, che aveva inquadrato nei suoi documentari degli anni 60 e 70. Prende di petto ogni questione, si mette in gioco davanti alla macchina da presa, s’arrabbia per la mancanza di rabbia dei giovani, assai meno vitali di lei pur avendo una settantina di anni in meno («dovrebbero imbrattare i muri»), raccoglie le proteste di chi vorrebbe un lavoro che non uccida. In meno di un’ora e mezza, con la collaborazione di Mariangela Barbanente, Cecilia Mangini ricuce un discorso lasciato in sospeso quasi quarant’anni fa col suo ultimo lavoro, come se non l’avesse mai interrotto, e fotografa con lucidità folgorante una regione e un Paese.
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